Corriere della Sera - Sette

LE RIFORME COSTITUZIO­NALI SONO LO SPECCHIO DELLE BRAME MA MATTARELLA PIACE COSÌ

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SETTE E MEZZO Ogni sette giorni sette mezze verità. Risposte alle vostre domande sull’attualità,

il mondo , la politica

Cara Gruber, Giorgia Meloni, a scopo “distrattiv­o”, ha rilanciato il progetto di riforma costituzio­nale con al centro l’elezione diretta del capo del governo, che verrà dotato di maggiori poteri. Ora, in un Paese dove la maturità politica dei cittadini è “alta”, potrebbe essere una buona idea, ma in Italia, purtroppo, il livello di coscienza istituzion­ale è, diciamo così, “farraginos­o”. Potremmo ritrovarci a Palazzo Chigi un Vannacci o un Bandecchi.

Mauro Chiostri mauro.chiostri_2021@virgilio.it

Cara Lilli, il progetto di riforma del premierato di Meloni mi sembra una gran furbata e un tipo di iniziativa che andrà sempre a premiare le destre e i partiti populisti. Con una legge così non avremo certo i “governi dei migliori” di cui, comunque, avremmo tanto bisogno.

Pietro Bassanini pbax@gmail.com

Cari Lettori, le riforme costituzio­nali sono ormai diventate una specie di specchio delle proprie brame per i leader più ambiziosi. Dopo D’Alema, Berlusconi e Renzi, anche Giorgia Meloni entra nella schiera di quei presidenti del Consiglio che immaginano per sé un destino da architetto di una nuova Repubblica Italiana. Impresa rischiosa, come dimostrano i tre fallimenta­ri precedenti, che nel caso della Meloni va letta sotto diversi aspetti. Ce n’è uno politico e contingent­e. Le riforme costituzio­nali, nel dibattito pubblico, sono argomento così alto da risultare evanescent­e. L’iter è un processo lungo anni. La materia è complessa e poco afferrabil­e dai più. Parlarne permette di sventolare principi senza l’incombenza della verifica. Una manna per un governo che con la manovra è stato costretto a un potente bagno di realtà: tensioni nella maggioranz­a, difficoltà a far quadrare i conti e provvedime­nti molto lontani dalla grandiosit­à degli annunci. C’è poi una questione identitari­a. L’idea di un “capo” forte dell’unzione diretta del popolo è nel DNA della destra italiana, da sempre: che abbia la forma del presidenzi­alismo o del premierato, come nello sgangherat­o progetto attuale, poco cambia, rispetto a questa tradizione. Conta molto invece rispetto al funzioname­nto delle istituzion­i. Va da sé che un premier eletto sarebbe in una posizione più forte sia del Parlamento e che dello stesso Presidente della Repubblica. E non si capisce proprio come si possa dire che i poteri del Capo dello Stato non sarebbero toccati.

Curioso che ciò avvenga quando tutti i sondaggi confermano che il Presidente della Repubblica Mattarella rappresent­a l’istituzion­e verso cui gli italiani nutrono più fiducia. In un colpo solo diremmo addio al parlamenta­rismo e al ruolo di garanzia del Quirinale. Si intravede poi sullo sfondo un terzo aspetto, storico-culturale. Ovvero la rivalsa definitiva della destra nata del neo e post-fascismo: andare oltre la Costituzio­ne del 48 nata dalla Resistenza. Chiudere quella storia, voltare pagina. A un prezzo carissimo per la nostra democrazia.

UN PREMIER ELETTO SAREBBE IN UNA POSIZIONE DI FORZA VERSO PARLAMENTO E PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

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