Corriere della Sera - Sette

COSÌ PARLA IL LEADER-SCIAMANO: «SOLO CHI PENSA DI NON AVERE LEGAMI PUÒ DISTRUGGER­E TUTTO LO SPIRITO DELLA FORESTA È LA CURA»

- DI ANGELO FERRACUTI

o incontrato per la prima volta Davi Kopenawa a Boa Vista nel maggio del 2017 quando sono andato a trovare il suo popolo nella foresta di Catrimani, nel nord del Brasile, l’ho rivisto al Festivalet­teratura di Mantova nell’autunno dell’anno successivo, presentand­o insieme a lui La caduta del cielo (Nottetempo, 2018), e l’ultima volta l’ottobre dello scorso anno durante le elezioni presidenzi­ali. Leader carismatic­o e sciamano, noto come il Dalai Lama della foresta, è nato in un villaggio del Rio Toototobi e come molti Yanomami non si sa la sua età precisa, ha preso il nome Kopenawa che è quello di una vespa che vive nella foresta piuttosto coriacea e combattent­e. Il suo popolo vive lungo il confine tra Brasile e Venezuela, ed è una delle tribù più numerose dell’Amazzonia, mentre lui è diventato nel tempo sempre più noto a livello internazio­nale per il suo attivismo a difesa dei popoli indigeni e la salvaguard­ia della foresta. Davi è anche il presidente dell’Associazio­ne yanomami Hutukara che lui stesso ha fondato nel 2004 per meglio difendere la terra e i diritti del suo popolo.

Adesso sempre insieme all’antropolog­o Bruce Albert hai scritto Lo spirito della foresta, che racconta nel profondo la visione del mondo e la cosmologia del popolo Yanomami, come è nato?

«Dopo La caduta del cielo, Bruce e io abbiamo pensato di fare un altro libro. Ci siamo confrontat­i, lui non voleva scrivere dell’arrivo dei non indigeni qui in Brasile. Quindi abbiamo deciso di parlare dell’arrivo dell’uomo bianco ma anche dell’arrivo della Chiesa, che ha voluto imporre la parola “spirito”, e di come io ho difeso lo xapiri della terra, gli xapiri della foresta. Xapiri, per il popolo Yanomami, è molto importante e non è uno spirito. Lo xapiri garantisce la nostra salute, se ne prende cura. Quando i nostri bambini, le nostre mogli, i nostri figli più grandi si ammalano, xapiri è come una medicina. Ma xapiri non usa medicine. Usa la forza della natura, della terra, della foresta, della montagna e la forza dei vari elementi che esistono nel tempo dell’universo. Usa la forza del giaguaro, del pecari, del grande serpente, dell’anaconda e la forza della cascata. Io ero abituato a usare questo xapiri... Ma per i Napë, i non indigeni, comprender­e lo spirito della foresta non penso sia molto facile. Penso che per capire meglio debbano usare il concetto di spirito. Spirito della foresta. Dov’è lo spirito? Spirito, xapiri, è nella foresta, nelle montagne, nelle rocce, nel fiume, nel mare... Agli xapiri piace stare senza dimora. Sono diversi. Sono molto diversi. Gli xapiri non mostrano dove stanno, si mostrano solo a chi è xapiri. A chi ha studiato, a chi ha inalato la yakoana (virola elongata, utilizzata come fonte allucinoge­na, ndr). Agli sciamani. La yakoana è cibo per lo spirito della foresta. Lo spirito della foresta non prega come pregano le persone in chiesa. È diverso. Xapiri è nato insieme all’universo, insieme alla terra, insieme a Omama, il creatore. Omama ha pensato che ci dovesse essere uno xapiri sulla terra per prendersi cura della salute dell’universo, della salute quando c’è, ad esempio, molta pioggia, molto caldo, molto vento... Questo è il lavoro dello xapiri. Non è solo per gli Yanomami, non è solo per gli Ye’kwana (un altro popolo indigeno che vive nel territorio degli Yanomami, ndr), non è solo per i popoli della foresta. È per tutto. Per lo spirito della foresta il mondo è piccolo. Per noi, guardando la mappa, è una terra molto grande. Quindi, ecco perché abbiamo scelto di fare questo lavoro, affinché Bruce scrivesse e traducesse le parole che volevo dire».

«Le parole dell’ecologia», hai affermato nel tuo libro, «sono le nostre antiche parole. Gli xapiri difendono la foresta da quando esiste. I nostri anziani non

DAVI KOPENAWA: «LE PAROLE DELL’ECOLOGIA SONO LE NOSTRE ANTICHE PAROLE. I BIANCHI, CHE IGNORAVANO QUESTE COSE, OGGI INIZIANO A CAPIRE»

l’hanno mai devastata perché li hanno al loro fianco. I Bianchi, che in passato ignoravano tutte queste cose, oggi iniziano a capirle. Ecco perché alcuni di loro hanno inventato nuove parole per proteggere la foresta». Cosa dicono gli xapiri dello stato della foresta, del mondo, quando gli sciamani come te li chiamano e scendono dalle alture?

«Xapiri è ecologia, una parola creata dai non indigeni. Nella nostra lingua yanomami, xapiri è ecologia della foresta. Ecologia del fiume, del ruscello, della montagna. Ecologia del corpo della terra, del sole, della luna, della luce, dell’oscurità. Tutti i popoli non indigeni usano questo nome: ecologia. Ma noi Yanomami usiamo Maxita Urihi. Omama ha dato questo nome al popolo Yanomami e gli ha detto come usarlo. Maxita Urihi è un’ecologia. La terra e la foresta insieme, connesse. È insieme a noi, noi viviamo con lei. Ci ha permesso di restare nella foresta, per non essere distrutti. Fu allora che Omama, il creatore degli Yanomami, cominciò a pensare. A pensare a come usare la forza dello spirito della foresta, usare la forza degli xapiri. Cosa fa lo xapiri? Protegge la nostra salute,

YANOMAMI, UN PIANO PER PROTEGGERL­I

A 30 anni dal massacro di 16 Yanomami ad Haximu, questo popolo continua a subire violenze e uccisioni da parte di cercatori d’oro illegali sia in Brasile sia in Venezuela. Nonostante i progressi fatti dal governo Lula per sfrattare i cercatori d’oro illegali, alcune comunità Yanomami continuano a subire attacchi violenti e continuano a soffrire e morire per malaria, malnutrizi­one e malattie respirator­ie perché le squadre mediche e le medicine necessarie non raggiungon­o le comunità più remote, anche per paura delle rappresagl­ie dei cercatori d’oro armati. «È cruciale che si faccia pressione sui governi di Brasile e Venezuela», dice Fiona Watson, direttrice del Dipartimen­to ricerca e campagne di Survival internatio­nal, movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni. «Serve un piano di protezione a lungo termine, non solo per gli Yanomami, ma per

la natura e per tutta l’umanità». la nostra lingua, i nostri costumi, i nostri pensieri, il nostro cibo, la nostra cultura, tutto ciò che abbiamo. La Terra è un solo pianeta».

La vostra visione del mondo è diversa da quella dei conquistat­ori, dove abitate, nelle vostre terre ancestrali, tutte le forme di vita sono in equilibrio e armonia tra di loro senza avere una supremazia una sull’altra, mentre la terra non è una proprietà privata statica, radicata, ma un luogo senza frontiere fatto di flussi tra città e foresta. In passato avete stabilito un rapporto molto forte con la fotografa Claudia Andujar, ma oggi ci sono artisti indigeni come Joseca, che si ispirano alle parole di voi sciamani, cineasti come Morzaniel Iramari, Aida Harika, Roseane Yariana, Edmar Tokorino. Tu stesso disegni. Per voi le immagini hanno un grande valore simbolico di rappresent­azione, ma sono anche utili alla lotta per proteggere la foresta a livello internazio­nale. Che rapporto avete con le immagini?

«La visione è la mia, è la visione del mio popolo, insieme ai grandi xapiri della co

munità. La visione del mondo che comprendia­mo. Ecco perché la chiamiamo hutukara. Hutukara è un corpo. Noi, il fiume, la foresta, la caccia, la salute, la nostra lingua, i nostri costumi, la nostra cultura, siamo tutti in un unico bacino. Un bacino è come un vaso di terracotta. Dentro non c’è separazion­e, siamo tutti lì. Quindi, i pata (gli Yanomami anziani, ndr) sono artisti, e gli artisti sono xapiri, che conoscono la realtà del mondo in generale. E ora i non indigeni apprendono attraverso il nostro lavoro, attraverso la nostra lotta. In passato non vedevano mai le nostre opere. È come con Claudia Andujar: è stata l’unica che ha pensato di farci delle foto, delle immagini, da mostrare continuame­nte alla gente della città. Perché la gente della città ancora non conosce, ancora oggi non sa. È stato molto importante che Napayoma (nome dato a Claudia dagli Yanomami, ndr) abbia pensato di lavorare con le carte scritte, e con le mostre. Chi non ci conosce ora può conoscerci attraverso la nostra immagine. L’immagine aiuta molto, contribuis­ce al riconoscim­ento. Quelli che vivono molto lontano, come in Europa, non sanno, non vengono qui, ma possono guardare la nostra immagine. Quindi è nato Joseca, è nato come artista, ha imparato a disegnare, a parlare, io parlavo e lui ha imparato ascoltando… Gli ci è voluto un po’ per migliorare nel disegno, ma non si è arreso, voleva seguire la mia lotta attraverso il disegno, e ha scelto di farlo. I non indigeni, la gente di città pensa che noi, gli Yanomami, non sappiamo niente, che non pensiamo, che non sappiamo creare opere, e che siamo lenti ad imparare… Ma ora abbiamo questi due artisti. Anche mio cugino, Morzaniel Iramari, ha imparato ascoltando­mi, parlando, e anche osservando altri parenti, come i Makuxi (un altro popolo indigeno dello stato di Roraima, ndr) mentre scattavano foto, filmavano, registrava­no. Quindi anche io e Iramari abbiamo pensato di filmare, di imparare a filmare per mostrare la nostra saggezza. Ancora oggi cammina con me, ma non cammina insieme a me: lui corre, come se corresse per arrivare là dove io lo sto aspettando. Io corro già da molto tempo, ma lui ha imparato a corrermi dietro. Ciò significa che la strada è lunga, io ho camminato molto lontano, ma lui corre. Joseca è già riconosciu­to per i suoi disegni, è un artista, e anche Iramari è un regista Yanomami. Ha capito, ha imparato, ora lo sta dimostrand­o».

E ci sono altri giovani artisti, vero?

«Altri giovani. Altri giovani, e anche gli Shamatari (un sottogrupp­o degli Yanomami, ndr) stanno disegnando, e altri popoli indigeni del Brasile… Stiamo mostrando la nostra saggezza, le nostre capacità alla gente della città. Il popolo Yanomami ha tante storie. Le facciamo vedere, e poi mostreremo altri pensieri. È molto importante che la gente voglia sapere. Che voglia conoscere la mia parola, che io vorrei poter mostrare interament­e, tutto. Vent’anni fa, nessuno ci pensava, io non ci pensavo. Continuavo a pensare alla lotta, alla lotta con i politici, alla lotta contro l’estrazione mineraria, contro le imprese agricole, i cacciatori di frodo e tutto il resto… Non facevo altro che combattere. Ora sono cambiato. Ora posso combattere anche con una immagine».

Come Yanomami avete lavorato insieme ad alcuni artisti stranieri al progetto Lo spirito della foresta della Fondazione Cartier.

«Con l’arte, mostriamo la nostra saggezza. Come sognano gli Yanomami? Sognano per il mondo intero. Attraverso i sogni trovano l’anima della terra, trovano l’anima della foresta. Non sognano solo qui, sognano in tutto il mondo. Questo è molto importante, per la nuova generazion­e… Imparare, imparare a usare la carta, a disegnare, per la gente della capitale, che vive là. Loro hanno un altro disegno, fatto per loro, è bello, ma il nostro disegno è diverso. Sono disegni di alberi, affinché i non indigeni non li abbattano. Ne hanno già abbattuti parecchi. Il nostro è il disegno che ti avverte di non lasciarli cadere. Gli alberi sono molto importanti. Gli alberi, la foresta, sono connessi con il popolo della foresta. Non sono soli, no. Siccome i Napë (i non indigeni, ndr) pensano di essere soli, tagliano, abbattono, usano come motosega una grande macchina che, legata a una grande catena, la trascina e butta giù tutto. Non lo si deve fare. Noi stiamo insegnando, noi popolo Yanomami insegnerem­o a loro e ai loro figli a impegnarsi, a voler proteggere l’ecologia».

Hai anche scritto: «I Bianchi intorno alla nostra terra sono ostili. Non sanno niente di noi e non si chiedono mai come vivevano i nostri antenati. Pensano solo a occupare la nostra foresta con il loro bestiame e a distrugger­e i nostri fiumi per cercare l’oro». Tu chiami i popoli del capitalism­o occidental­e «il popolo della merce», avete vissuto storicamen­te momenti drammatici, subito attacchi violentiss­imi, ma come è cambiata la condizione dei popoli indigeni e la vostra in particolar­e in Brasile dopo l’elezione di Lula, oggi che Sonia Guajajara e Marina Silva sono ministre e Joenia Wapichana è a capo della

Funai, Fondazione nazionale dell’Indio?

«L’uomo di città arriva e vuole sempre

«CON L’ARTE MOSTRIAMO LA NOSTRA SAGGEZZA. COME SOGNANO GLI YANOMAMI? SOGNANO PER IL MONDO INTERO, TROVANO L’ANIMA DELLA TERRA»

più terra. Ma là dentro ci sono gli indio. Amico, uomo di città: anche noi siamo uomini! L’uomo di città che ha mariasikï, i soldi, è un uomo che ha denaro ma ne vuole di più. È un uomo che alleva bestiame, coltiva per produrre alimenti e guadagnare. Guadagna soldi da inviare, taglia alberi per fare un tavolo e carta, carta igienica. Lui ha tutto, e vuole tutto. Ma noi Yanomami lo vediamo. Non va bene, non lo si deve fare. Noi, il mio popolo, gli Yanomami, gli Ye’kwana e gli altri popoli indigeni del Brasile. I nostri leader precedenti hanno protetto per molto tempo. Hanno difeso. Noi abbiamo molto rispetto. Noi siamo molto diversi e rispettiam­o questo Ministero dell’Ambiente. È molto bella quella parola, ma lui (l’uomo di città, ndr) è una persona a cui non piace, che non l’ama. Ma Ministero dell’Ambiente è una bellissima parola. In yanomami diciamo Urihi Yama Anuama, “proteggiam­o la nostra foresta”. Noi Yanomami manteniamo la parola data. Ma la gente di città non la rispetta. Non guarda nemmeno, non guarda nemmeno questo qui. Se ne sta qui sola, senza guardare. È bellissimo, le parole sono bellissime, ma lui non le rispetta, come facciamo noi. Stanno distruggen­do tutto. Vogliono distrugger­e la nostra madrepatri­a. Ma ora mi sono perso, non ricordo cosa mi hai chiesto…».

Il Ministero dei popoli indigeni com’è oggi? Funziona? Sta aiutando gli indigeni? Oppure è troppo presto per parlare?

«Con il Ministero dei popoli indigeni abbiamo delle opportunit­à. Non lo abbiamo nemmeno chiesto. C’era chi era disposto a prendere il ruolo al governo, e abbiamo accettato l’incarico».

E tu facevi parte del gruppo di lavoro, quello che ha portato alla costruzion­e del Ministero?

«Sì, allora lo abbiamo accettato. Sperimenti­amo questa opportunit­à che non abbiamo mai avuto prima di assumere la responsabi­lità di un Ministero dei popoli indigeni. Ma ci sono molti indigeni che hanno studiato, sono così dipendenti… Questo è il problema. L’indigeno che ha avuto incarichi politici ha già una mentalità non indigena. Una mentalità avvelenata. Ho capito questo. E nessuno tra noi è rispettato. Parlano bene, ma non c’è rispetto. Ma noi, popolo della foresta, torniamo a incontrarc­i per conoscerci. Senza un bianco, senza un deputato… solo tra noi, il Ministero degli indigeni del Brasile. Dobbiamo fermarci per capire come andare avanti, come migliorare la nostra situazione. Manca una leadership tradiziona­le che vive in montagna. Non sanno che al Ministero dei popoli indigeni stiamo assumendo incarichi del Funai, del Ministero dell’ambiente, del Ministero della salute e altro. Nessuno di loro lo sa, no. Non ci sono abituati. Stiamo imparando, ma dobbiamo stare molto attenti. Dovete stare attenti, dovete rispettare la nostra gente della foresta, la gente delle montagne, la gente della campagna. Quindi spero che funzionerà. Funzionerà e vogliamo approfitta­rne. Il nostro presidente si chiama Lula. Lo sarà per quattro anni, un tempo molto breve, molto breve».

È ancora al primo anno. Dopo sei anni di Bolsonaro e Temer…

«Allora cosa bisogna davvero trattenere per non lasciare che la palla ricada nelle mani del governo? Ci sono anche fratelli che sono contro di noi. Che si oppongono a noi. Penso che sia una minoranza, e che la maggioranz­a è in grado di capire. Di capire come opera la Costituzio­ne federale per proteggere lo spirito della foresta, proteggere l’anima della terra, proteggere l’anima dei nostri fiumi. Quindi, penso che stiamo ottenendo qualcosa. Ci stiamo riuscendo. Ma ciò che la gente della foresta vuole è organizzar­e un incontro per coloro che sono lì a Brasilia. Che si limitano ad ascoltare i politici. Il politico parla magnificam­ente. Parla magnificam­ente come se fosse un amico. Ma ci sono parole velenose. Parole velenose dette per tradirci. Quindi la malattia esiste… Nessuno ha ancora eliminato la malattia dalla Costituzio­ne federale. La ministra dell’Ambiente, che è Marina Silva, è una donna. Io la conosco. Lei si interessa sempre. Ma non altri. Lei ha rispetto. Lei è una donna. Sa guidare. Sa pensare. Sa rispettare la natura. Sa anche come pensare ai suoi fratelli della foresta. Non si preoccupa solo dei fratelli in città, no. Lei pensa sempre ai suoi fratelli di montagna. Lei ama la nostra foresta, ama il nostro popolo. Penso che la situazione migliorerà. Non dico che migliorerà di certo. Nessuno lo sa. Il mondo non parla. O meglio, il mondo parla in silenzio. Quindi, questo è ciò che la gente vuole sentire, il mio discorso. Sono uno xapiri della foresta. Sono amico di urihi. Connesso a urihi fin da quando ero bambino. Anche io difendo la natura, difendo l’ecologia. È molto bello. Dovrebbero farlo tutti, come lo sto facendo io. Se tutti facessero così, sarebbe davvero bello. Non permettere­i la distruzion­e. Non lascerei che la nostra foresta fosse minacciata. La nostra salute. Sono uno Yanomami diverso. Un albero che diventa ricco. Pieno di fiori, pieno di frutti. Un bellissimo albero. Pieno di uccelli. Sono fatto così».

(Grazie a Evilene Paixão dell’associazio­ne Hutukara per l’aiuto nel raccoglier­e la testimonia­nza audio e a Francesca Casella di Survival Internatio­nal per la traduzione in italiano. www.survival.it).

«SONO UNO YANOMAMI DIVERSO. UN ALBERO CHE DIVENTA RICCO. PIENO DI FIORI E DI FRUTTI. UN BELLISSIMO ALBERO PIENO DI UCCELLI. SONO FATTO COSÌ»

 ?? ?? LA COPERTINA DE LO SPIRITO DELLA FORESTA (NOTTETEMPO), DELLO SCIAMANO DAVI KOPENAWA E DELL’ANTROPOLOG­O
BRUCE ALBERT. LA PREFAZIONE È DI EMANUELE COCCIA
LA COPERTINA DE LO SPIRITO DELLA FORESTA (NOTTETEMPO), DELLO SCIAMANO DAVI KOPENAWA E DELL’ANTROPOLOG­O BRUCE ALBERT. LA PREFAZIONE È DI EMANUELE COCCIA
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(Nottetempo)
Kopenawa con il suo La caduta del cielo (Nottetempo)

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