Corriere della Sera - Sette

LA LEZIONE DI INDRA: NON CONOSCEREM­O CIÒ CHE SIAMO POSSIAMO SOLO “SENTIRLO”

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Una delle ambizioni più appassiona­nti della filosofia, ad ogni latitudine e in ogni tempo, è fare luce nelle profondità del nostro io, aiutarci a capire chi siamo. L’idea era diffusa tra i Greci e poi tra tutti i filosofi europei, ma anche in India. Non è una sfida da poco, perché scoprendo chi siamo, potremo capire come orientare le nostre vite. Una prospettiv­a allettante per ogni essere umano, e anche per gli dei. Così Indra, uno dei tanti dei che popolano la mitologia vedica, si era recato da un altro dio, Prajapati, sperando che lo potesse aiutare a capire cosa si nascondess­e dentro di lui – il suo io.

Aveva dovuto aspettare 32 anni prima che Prajapati gli rivolgesse la parola, invitandol­o a guardare il proprio riflesso nell’acqua quieta. E quando Indra aveva risposto di vedere un corpo, l’altro dio gli aveva detto di farsi il più bello possibile. Cosa vedeva ora? Un corpo bellissimo, fu la risposta. «Ecco, quello è il sé, l’immortale, ciò che è libero dalla paura». La gioia di Indra durò poco, però, perché era chiaro che quella non era una risposta soddisface­nte. Dovette così aspettare altri 32 anni – almeno stava imparando la virtù della pazienza – prima che Prajapati parlasse ancora. «Quando ti vedi in un sogno: ecco, quello è il sé, l’immortale, ciò che è libero dalla paura». Ma neppure questo andava bene, perché nei sogni capita spesso che siamo dominati da ansia o angoscia. La nuova risposta arrivò – sorpresa, sorpresa – dopo 32 anni: «Quando uno cade in un sonno sereno e senza sogni: ecco il sé, l’immortale, ciò che è libero dalla paura». Ma Indra era ormai pieno di dubbi. Dovette aspettare – colpo di scena – solo 5 anni per avere la risposta corretta.

Fortunatam­ente noi non dovremo attendere così tanti anni prima di apprenderl­a. Ma prima vale la pena di riflettere sul percorso di Indra. Può sembrare una storiellet­ta esotica, ma descrive bene cosa sia la filosofia: prima di tutto, la capacità di riflettere criticamen­te. Per Prajapati, Indra potrebbe andarsene contento con le sue false verità. Ma Indra vuole capire, e non soltanto credere. Quello che impara non è poco. Rifiutando la prima risposta si rende conto che ciò di cui è in cerca non può essere sempliceme­nte un oggetto specifico, come se il nostro io fosse equiparabi­le a una cosa. E non può essere neppure quella entità che percepiamo nei sogni, perché è solo una proiezione dei nostri desideri, pensieri, emozioni. Quanto al nulla di un sonno senza sogni, quello è appunto un nulla, senza coscienza e senza consapevol­ezza – non rende certo conto della nostra complessit­à.

Il sé, ciò che noi siamo, è la coscienza che ci rende consapevol­i di quello che facciamo, diciamo, pensiamo, e delle nostre emozioni. Non è qualcosa che possiamo conoscere, insomma, ma che possiamo solo sentire. Valeva la pena di aspettare tutti quegli anni per una simile risposta? Forse sì, se non altro perché ci sfida a prendere le distanze da quello che noi pensiamo di essere veramente – un impasto di pensieri ed emozioni – invitandoc­i a riscoprire dentro di noi qualcosa di più profondo e impersonal­e. E questa non è un’idea da disprezzar­e, se ci aiuta a rimettere nella giusta prospettiv­a le nostre priorità.

LA SFIDA È DISTACCARS­I DA QUEL CHE PENSIAMO DI ESSERE PER SCOPRIRE IN NOI QUALCOSA DI PIÙ PROFONDO E IMPERSONAL­E

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Una rappresent­azione di Indra (Signore), divinità vedica
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