AMBIENTE, ECONOMIA, EMOZIONI: È TUTTO UN DILUVIO UNIVERSALE
Quando si accomodano al tavolo, i commensali assaporano il cibo e brindano ai loro successi. Nessuno vuole rinunciare all’ebrezza del momento, né ascoltare gli avvertimenti esterni. Conta solo il presente per Cadmo e la sua corte, e se lo godono, anche se sanno, sordi ai moniti di Noè, che quella è l’ultima cena sull’umanità. L’immagine che scorre davanti ai nostri occhi può essere metafora di un’arca, ma anche di una prigione, una gabbia, un presente incerto, il nostro. Perché nell’opera Il diluvio universale. Un’indagine sull’ossessione del presente, di Donizetti, regia dei Masbedo (Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni) con la drammaturgia visiva di Mariano Furlani e le scene di 2050+, accanto ai protagonisti mitologici potremmo sederci anche noi, uomini e donne contemporanei. Lo spettacolo – in scena a Bergamo il 17, 25 novembre e 3 dicembre al festival Donizetti Opera – catapulta le urgenze che abitano l’attualità in uno scenario biblico, attraverso un meticcio di generi, stili, tecnologie. Per la prima volta, quasi 200 anni dopo l’opera sacra composta nel 1830 per il Real Teatro di San Carlo di Napoli dal libretto di Domenico Gilardoni, Il diluvio universale ha una versione moderna.
Spiega Furlani: «Abbiamo spogliato l’opera del libretto dagli elementi sacri e li abbiamo assunti rispetto alle profezie che riguardano i nostri giorni, quindi su tutto ciò che non è sostenibile dal punto di vista ambientale, economico, relazionale-affettivo, emozionale». Oltre ad attori, attrici e performer, in scena si intrecciano i contenuti video dei Masbedo e le loro live performance proiettate in presa diretta su un led. Il risultato è uno sguardo onnisciente – assomiglia a quello di George Orwell in 1984 – che diventa punto di vista interno nelle vicende intime dei protagonisti.
Dice Massazza: «Ragionare con le immagini è difficile, quest’epoca è un frullatore visivo. Ci siamo basati sull’in
L’opera, composta da Donizetti nel 1830, intreccia video e performer. Il debutto venerdì 17, a Bergamo
tuizione. Il nostro intervento vuol fare capire che siamo tutti seduti a quel tavolo, ma non c’è un giudizio moralistico, cerchiamo solo di raccontare quello che vediamo dei nostri giorni». Bedogni è d’accordo: «In qualche sedia ci siamo seduti anche noi. Quel modo dei commensali di non curarsi dei disastri imminenti e rinchiudersi in un regno che li fa sentire assolutamente comodi è qualcosa di acutamente attuale». Poi Massazza aggiunge: «La sfida è stata costruire una libertà dentro dei limiti, l’esatto opposto di ciò che fanno i personaggi al tavolo: non vogliono barriere». E Furlani specifica: «In un’Europa dove girano i carri armati e su un Pianeta minacciato dal cambiamento climatico, nessuno di noi può dichiararsi completamente puro davanti al concetto di cura».
Prima della nota del direttore Riccardo Frizza, l’opera attacca fuori dal teatro con un’installazione di Sea Shepherd, onlus che difende i mari. Le immagini della vita sott’acqua, a pochi passi dal palcoscenico, ci ricordano almeno due concetti, ci tiene a sottolineare Furlani. Uno: il teatro è una soglia. Due: davanti all’emergenza climatica, il confine tra il piano della realtà e quello della rappresentazione risulta labile.