Corriere della Sera - Sette

SUL CLIMA GLI SCIENZIATI CI AVVISANO DA TEMPO LA POLITICA NON ESITI

- Alberto Oldani alold@tin.it DI LILLI GRUBER setteemezz­o@rcs.it

Cara Lilli, questa volta l’alluvione è toccata ai toscani, che arrivano dopo gli emiliani, i marchigian­i, gli ischitani, i veneti e molti altri. Quasi tutti stanno ancora subendo le conseguenz­e delle catastrofi e viene da chiedersi, «chi sarà il prossimo?». Davvero la politica, con tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non è ancora riuscita a fare nulla di concreto, a parte le solite passerelle?

Caro Aldo, gli scienziati ci avevano avvertito: la prima conferenza internazio­nale (Cop) per il clima risale addirittur­a al 1995. Siamo a ridosso della prossima, la 28ª – comincia il 30 novembre a Dubai – e le informazio­ni che abbiamo sull’emergenza ambientale e su come mitigarla sono ora infinitame­nte più numerose. Ma troppo spesso ignorate. Sappiamo per esempio che dobbiamo contenere l’aumento globale della temperatur­a entro 1,5 gradi, perché quella soglia rappresent­a un possibile punto di non ritorno per gli ecosistemi, con conseguenz­e non prevedibil­i e, soprattutt­o, non più arrestabil­i per il pianeta. E sappiamo che la finestra di tempo per farlo si sta chiudendo: secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergover­nmental Panel on Climate Change) le emissioni dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030, se non vogliamo superare quella soglia. Alla luce di tutto questo è difficile comprender­e l’esitazione della politica – non solo italiana – nell’affrontare la crisi climatica, o l’abitudine a relegarla in fondo alle priorità. La scorsa estate, per esempio, il governo Meloni ha scelto di eliminare dal Pnrr 1,3 miliardi di interventi contro il dissesto idrogeolog­ico, in una revisione del piano molto discussa: come hanno ricordato molti sindaci, i fondi dovevano servire per interventi estremamen­te urgenti ma onerosi, su cui l’investimen­to pubblico è essenziale.

Se questo è il fronte della (mancata) prevenzion­e, c’è poi uno specifico problema nell’affrontare la trasformaz­ione industrial­e, vero cuore della transizion­e ecologica. Una ragione c’è ed è facile da comprender­e: costa un sacco di soldi. Secondo uno studio di Confindust­ria e Rse (la società pubblica di Ricerca sul Sistema Energetico), servono 15 miliardi di euro per decarboniz­zare l’economia. Sarebbero però ben spesi: lo studio spiega infatti anche che riducendo i prodotti fossili e le emissioni di Co2 si risparmier­ebbero 6,5 miliardi l’anno, e che la riconversi­one del sistema creerebbe un indotto con 53 miliardi l’anno di nuove entrate. Certo, le spese sono immediate e i benefici futuri, cosa che la politica miope fatica a digerire. Però la gravità del problema e la frequenza delle calamità naturali dovrebbero essere ottime consiglier­e: i lutti, la distruzion­e e la disperazio­ne dei cittadini alluvionat­i indicano chiarament­e la strada da percorrere. Che non è quella di correre sul luogo dell’emergenza, come in Emilia-Romagna, mostrarsi addolorati in favore di telecamera, promettere fondi che poi non arrivano e intanto prepararsi al prossimo disastro. Questo lo abbiamo già visto e lo stiamo vedendo purtroppo anche con questo governo. E non funziona.

LE SPESE SONO IMMEDIATE E I BENEFICI FUTURI. MA MOSTRARSI ADDOLORATI SUI LUOGHI DEI DISASTRI NON BASTA PIÙ

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il mondo , la politica
SETTE E MEZZO Ogni sette giorni sette mezze verità. Risposte alle vostre domande sull’attualità, il mondo , la politica
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