SUL CLIMA GLI SCIENZIATI CI AVVISANO DA TEMPO LA POLITICA NON ESITI
Cara Lilli, questa volta l’alluvione è toccata ai toscani, che arrivano dopo gli emiliani, i marchigiani, gli ischitani, i veneti e molti altri. Quasi tutti stanno ancora subendo le conseguenze delle catastrofi e viene da chiedersi, «chi sarà il prossimo?». Davvero la politica, con tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non è ancora riuscita a fare nulla di concreto, a parte le solite passerelle?
Caro Aldo, gli scienziati ci avevano avvertito: la prima conferenza internazionale (Cop) per il clima risale addirittura al 1995. Siamo a ridosso della prossima, la 28ª – comincia il 30 novembre a Dubai – e le informazioni che abbiamo sull’emergenza ambientale e su come mitigarla sono ora infinitamente più numerose. Ma troppo spesso ignorate. Sappiamo per esempio che dobbiamo contenere l’aumento globale della temperatura entro 1,5 gradi, perché quella soglia rappresenta un possibile punto di non ritorno per gli ecosistemi, con conseguenze non prevedibili e, soprattutto, non più arrestabili per il pianeta. E sappiamo che la finestra di tempo per farlo si sta chiudendo: secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) le emissioni dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030, se non vogliamo superare quella soglia. Alla luce di tutto questo è difficile comprendere l’esitazione della politica – non solo italiana – nell’affrontare la crisi climatica, o l’abitudine a relegarla in fondo alle priorità. La scorsa estate, per esempio, il governo Meloni ha scelto di eliminare dal Pnrr 1,3 miliardi di interventi contro il dissesto idrogeologico, in una revisione del piano molto discussa: come hanno ricordato molti sindaci, i fondi dovevano servire per interventi estremamente urgenti ma onerosi, su cui l’investimento pubblico è essenziale.
Se questo è il fronte della (mancata) prevenzione, c’è poi uno specifico problema nell’affrontare la trasformazione industriale, vero cuore della transizione ecologica. Una ragione c’è ed è facile da comprendere: costa un sacco di soldi. Secondo uno studio di Confindustria e Rse (la società pubblica di Ricerca sul Sistema Energetico), servono 15 miliardi di euro per decarbonizzare l’economia. Sarebbero però ben spesi: lo studio spiega infatti anche che riducendo i prodotti fossili e le emissioni di Co2 si risparmierebbero 6,5 miliardi l’anno, e che la riconversione del sistema creerebbe un indotto con 53 miliardi l’anno di nuove entrate. Certo, le spese sono immediate e i benefici futuri, cosa che la politica miope fatica a digerire. Però la gravità del problema e la frequenza delle calamità naturali dovrebbero essere ottime consigliere: i lutti, la distruzione e la disperazione dei cittadini alluvionati indicano chiaramente la strada da percorrere. Che non è quella di correre sul luogo dell’emergenza, come in Emilia-Romagna, mostrarsi addolorati in favore di telecamera, promettere fondi che poi non arrivano e intanto prepararsi al prossimo disastro. Questo lo abbiamo già visto e lo stiamo vedendo purtroppo anche con questo governo. E non funziona.
LE SPESE SONO IMMEDIATE E I BENEFICI FUTURI. MA MOSTRARSI ADDOLORATI SUI LUOGHI DEI DISASTRI NON BASTA PIÙ