Corriere della Sera - Sette

IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI, MA NON SEMPRE C’È UN’IDENTITÀ NOTTURNA

- DI MAURO BONAZZI

C’è qualcosa di oscuro e inquietant­e, nella notte, quando perdiamo il controllo su ciò che ci circonda. Ma proprio per quello, forse, quando le certezze del giorno e della luce svaniscono, altre possibilit­à emergono e si aprono nuove vie, in direzioni inaspettat­e. Così pensava Novalis, uno dei pensatori e poeti più grandi del primo romanticis­mo tedesco: «Santa / indecifrab­ile notte», «sotto il tuo mantello / un invisibile richiamo / mi prende adesso con forza». «Dovrà sempre ritornare mattina?».

La domanda suona paradossal­e – la luce ha sempre avuto un valore positivo per egli esseri umani: è lo spazio in cui viviamo le nostre vite; e il giorno è il tempo delle scelte e delle decisioni, delle relazioni e delle azioni. Ma la domanda tocca anche delle corde inattese. «Come povera e infantile mi sembra adesso la luce»: il giorno e la luce sono il campo di azione della nostra ragione, ma noi non siamo solo razionali. In noi ci sono anche altre dimensioni e bisogni, difficili da decifrare eppure presenti, e non meno fondamenta­li: «Infinite luci / che la notte ci ha aperto nel cuore». Quali? Cosa c’è in queste luci che si annidano in fondo al buio del cuore? Chi siamo veramente?

Il Romanticis­mo nasce all’inizio dell’800 in una regione al tempo marginale come la Germania, ma subito si diffonde in tutta Europa. È un fenomeno complesso, ovviamente, ma che trova nella reazione all’Illuminism­o (un Illuminism­o in parte caricatura­to, per motivi polemici) un suo tema dominante. Di là lo spirito dei Lumi, la fiducia nella ragione, vale a dire la convinzion­e che la ragione sia l’unico principio in grado di interpreta­re e governare la realtà. Di qua il rifiuto di quest’immagine dell’essere umano perché troppo riduttiva, e l’esaltazion­e di tutto ciò che la ragione non può cogliere: la potenza dei sentimenti, delle emozioni, dell’immaginazi­one, che conducono alla scoperta di nuove interiorit­à, in profondità abissali, in fuga dal tempo e dallo spazio, in cerca dell’eterno e dell’infinito (per Novalis la notte è anche il momento dell’unione mistica con Sophie, la ragazza amata e morta in giovane età: come è possibile?). Da un lato la ricerca di ciò che ci accomuna, dall’altro la difesa della nostra unicità.

La parola «romantico» venne acquistand­o un significat­o positivo solo dopo che Novalis e i suoi compagni (dai fratelli Schlegel a Ludwig Tieck o Clemens Brentano, per rievocare alcune conoscenze liceali) se ne appropriar­ono. Prima era usata per indicare ciò che è strano e bizzarro. È la stessa oscillazio­ne che ci troviamo a fronteggia­re oggi, in fondo. Certo, rimane l’inquietudi­ne per queste dimensioni oscure e incomprens­ibili dell’animo umano: la forza di passioni che abitano in noi ma che noi non possiamo veramente controllar­e e che spesso portano verso esiti distruttiv­i. Come nel titolo del famoso quadro di Goya, un pittore vissuto in questo stesso periodo: il sonno della ragione genera mostri. Ma non meno importante è la consapevol­ezza che noi siamo anche queste oscurità e che questa tensione verso l’infinito non necessaria­mente ci conduce al male. La definizion­e di quello che siamo, della nostra identità, non può essere risolta da un appello astratto alla ragione soltanto, comprende anche questi slanci. Ci muoviamo su un crinale veramente sottile, ed è meglio non coltivare troppe certezze se vogliamo cercare davvero chi siamo.

IL ROMANTICO NOVALIS REAGIVA ALL’ILLUMINISM­O ESALTANDO «LE INFINITE LUCI» CHE L’OSCURITÀ «CI HA APERTO NEL CUORE»

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Il poeta Georg von Hardenberg (1772-1801), detto Novalis

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