SCUSATE SE VI PARLO DI MORTE NIENTE PAGINE O CENERI SPARSE ANDIAMO AL CIMITERO
Ma voi il loculo l’avete già comprato? O pensate a una cremazione? Perdonate se parlo di morte, ma ogni tanto andrà pur fatto. Non è vero che porta male. Né che è di cattivo gusto, o addirittura «pornografico» come dice qualcuno. Pur essendo la più anziana della storia, la nostra società è diventata così giovanilista da essersi imposta il tabù della morte. Oggi si può parlare solo di benessere, bellezza e salute. Pochi genitori fanno ora ciò che fecero i miei, quando da bambino mi portarono al capezzale del nonno che se ne andava un giorno alla volta, e dava a me, unico nipote maschio, il suo anello, l’orologio, un augurio, l’ultima carezza. Questo passaggio di consegne, questa trasmissione di valori e di beni, che in latino si dice col verbo tradere, è l’etimologia della parola «tradizione». Più stendiamo un velo di silenzio sulla morte, più interrompiamo questo tramite tra le generazioni, più ci impoveriamo. «Ciò che differenzia l’uomo dall’animale è l’essere un erede e non un mero discendente: l’eredità di tutti gli affanni umani è venuta ad arricchirci» (Ortega y Gasset).
Ecco perché della morte bisognerebbe parlare. Non dico addirittura riderne, come nell’irresistibile campagna pubblicitaria di una compagnia di pompe funebri di Roma che osa scherzare su bare, urne e loculi. Ma parlarne con letizia sì, si può. Me ne sono accorto nei giorni di novembre dedicati ai defunti, visitando un paio di cimiteri. C’era un’aria di festa. Composta, certo. Sobria. Sommessa. Ma era quasi uno “struscio”, l’occasione per tante famiglie di mettersi il vestito buono e incontrarsi per ricordare il passato.
È stato lì che ho pensato al loculo. Dovete sapere che mia madre, devota e tradizionalista, aveva sempre voluto essere sepolta nella cappella di famiglia al paese. Diceva che da lì si godeva una bella vista, e in effetti il piccolo cimitero di Tora e Piccilli, nel recinto di un vecchio convento di Cappuccini ormai abbandonato, domina dalla collina le distese di castagni dove gli ominidi camminavano già 350mila anni fa (ne sono state trovare le impronte). Un posto ameno, insomma, nel quale vale la pena sostare per l’eternità. Mio padre, invece, un po’ a sorpresa per noi, aveva lasciato per iscritto la volontà di essere cremato, e che poi le ceneri fossero disperse. Una scelta che al tempo mi parve più moderna, disincantata e perfino più pratica della sepoltura. Pensai perciò di ricordarlo con una pagina sulla Rete, dove ancora ci sono le sue foto e i nostri ricordi, una specie di lapide virtuale.
Poi però, col passare degli anni, ho scoperto che cresce il bisogno di un luogo fisico nel quale ritrovare i propri cari. Un po’ alla volta la scelta di mia madre si è rivelata più adatta al ricordo e alla celebrazione, forte di quel cimitero in collina dove vien voglia di andarla a trovare. Mentre le ceneri diffuse e la memoria digitale di mio padre non offrono un posto al cordoglio, un marmo alla deposizione di un fiore, un’occasione di incontro ai parenti. Così, ora che «il Nilo sta ormai arrivando al Cairo», come scriveva Schopenhauer, ecco che rivaluto la tumulazione.
ERO AFFASCINATO DALLA CREMAZIONE MA ORA HO DECISO: VOGLIO UN LOCULO IN UN LUOGO AMENO DOVE SOSTARE PER L’ETERNITÀ