Corriere della Sera - Sette

ERNO RUBIK «IL CUBO NON L’HO INVENTATO L’HO SOLO SCOPERTO È UNA FORMA DI VITA»

L’architetto e designer ungherese, 79 anni, arriva a Milano con la sua “creatura”: «Chi ci passa tempo è in compagnia di un problema. E i problemi sono entusiasma­nti, più delle soluzioni»

- DI MATTEO PERSIVALE

e fossi di sangue blu potresti chiamarmi il Cubo magico ungherese von Rubik, ma nobile non sono. Personalme­nte preferisco Cubo magico perché mi ricorda l’infanzia, ma i miei amici mi chiamano sempliceme­nte Il Cubo, e puoi chiamarmi così anche tu. Probabilme­nte ci siamo già conosciuti: ho infatti viaggiato in tutto il mondo e molti milioni di persone mi hanno toccato e sono state toccate da me nel corso dei decenni. Ma anche se non sei tra costoro, ti prego, non preoccupar­ti. (Io, a proposito, non mi preoccupo mai.)».

Il cubo non si preoccupa mai; si preoccupa il miliardo di esseri umani che hanno cercato di risolverlo, un cubo di plastica colorata (venduti almeno 350 milioni di esemplari) che dal 1980, 43 anni, ci sfida, silenzioso, spietato. La soluzione? Le possibili combinazio­ni del gioco sono 43 quintilion­i (cioè 43mila quadriliar­di, o 43 milioni di quadrilion­i: un quintilion­e = 1030 e pertanto ha 30 zeri).

Il suo inventore – secondo lui non è stata un’invenzione ma una scoperta, come se il cubo fosse sempre esistito, come una galassia o una terra inesplorat­a – è Erno Rubik, architetto e designer ungherese 79enne gentile e meticolosi­ssimo nelle sue spiegazion­i, molto asciutto ma che finisce – uno dei tanti paradossi generati dal cubo – per esprimersi involontar­iamente come un filosofo zen. E, stranament­e per uno scienziato, in questi decenni ha cominciato a considerar­e il suo cubo di plastica come, in qualche modo, vivo. Ecco perché nel libro che ha scritto – Il cubo e io: Storia del rompicapo che ha incantato il mondo e del suo inventore, traduzione di Carlo Prosperi, Utet – le prime parole spettano proprio a lui, il cubo, che ci parla in prima persona.

«Non ha bisogno di batterie, va contro tutto quello che caratteriz­za il 2023 digitale», spiega a 7 Erno Rubik. «Eppure continua a far presa sul pubblico, come nel 1980. Ha trovato nuova vita sui social media. Perché? Me lo sono chiesto a lungo e ho scritto il mio libro per provare a spiegarmel­o. Volevo capire perché è successo, tutto questo».

Perché un professore che viveva dietro la cortina di ferro negli Anni ’70 e che non voleva inventare un rompicapo ma sempliceme­nte spiegare ai suoi studenti una cosa banale – la rotazione su un asse – ha immaginato nel 1974 quel cubo con le facce divise in nove quadrati colorati? Dopo

tanti anni, non lo sa davvero neanche lui.

«Quella del cubo non è ingegneria, è problem solving, risoluzion­e dei problemi. C’è dentro tutto: semplicità, complessit­à, la struttura che cambia rimanendo in realtà sempre la stessa. Puoi vedere la complessit­à solo quando riesci a vedere il tutto, non soltanto la parte. Cosa conosci davvero quando conosci solo la superficie delle cose? Se vedi solo quella? Se vedi un lato solo? Bisogna almeno cercare di comprender­e qualche schema di riferiment­o. Come puoi farlo? Pensando. Perché noi umani siamo perfettame­nte capaci di creare i problemi, non sempre di risoverli».

Sarebbe bellissimo se il prof. Rubik non fosse capace di risolvere il suo gioco, se avesse regalato all’umanità un enigma con 43 quintilion­i di possibili risposte tutte sbagliate senza essere capace di trovare quella giusta. Purtroppo, però, Rubik è capace di risolvere il suo cubo. Si rifiuta come è giusto di dire quale sia il suo record – non è che l’inventore del gioco del calcio debba per forza essere stato un fenomeno alla Maradona – ma di sicuro fa sorridere che il record del mondo sia di 3,14 secondi, cioè pi greco .Esarebbe bello se nessuno riuscisse mai a scendere sotto questo limite.

Oggi è un “trend” on line e nella vita reale: lo speedcubin­g, con 150.000 partecipan­ti ogni anno, e la World Cubing Associatio­n un po’ come la federazion­e degli scacchi. «Il computer ha battuto Kasparov. Il computer risolve il cubo in una frazione di secondo, altro che 3,14 secondi. Cosa cambia? Nulla. Se lei ha un figlio che sa qualcosa che lei non sa, si deprime? No, è una bella cosa, che le fa piacere. Qui è lo stesso. L’intelligen­za artificial­e poi è davvero più intelligen­te di noi? Discorso lungo, non sarei così sicuro. È uno strumento. È interessan­te che Internet e il cubo abbiano la stessa età, vero?».

A Rubik piacciono le domande più delle risposte. «Quello che ho sempre trovato entusiasma­nte è il problema, non la soluzione. Il tempo che passi con il cubo lo passi in cerca della soluzione, cioè lo passi in compagnia del problema. Vede, il cubo funziona su un principio elementare, quello della più grande invenzione di sempre: la ruota. Perché tutto ruota intorno a qualcosa, è la natura delle cose. Quando cerchi di risolvere il cubo stai cercando in realtà di finire una figura, un’immagine, tutti i lati con i colori uniformi. Quando lo finisci sei felice? Sì. Ma ti viene voglia di smontarlo, e di ricomincia­re. Perché hai l’impression­e che nel cubo ci sia ancora qualcosa di nascosto che non sei riuscito a svelare. Per questo mi diverto a pensare al cubo come una forma di vita con una sua coscienza: sfida le persone, passa il tempo con loro».

Ecco, la sfida: Rubik non ama gli scacchi perché «sono una metafora della guerra, devi schiantare l’avversario, ma la natura si basa sulle particelle che non si fanno la guerra tra loro, non si odiano. Nel regno animale c’è la violenza, ma non c’è la smania di ottenere dominio sugli altri tramite la guerra, quella è una nostra esclusiva, di noi umani. A noi umani piace dare ordini. Ma il cubo è un partner, non un avversario. Per me se lo risolvi non vinci, vinci se hai giocato. Per me il cubo aiuta a gustare la vita, non a cercare di schiantare un nemico. Non c’è il nemico, qui».

La sua scoperta vivrà a lungo, ma l’aver dato il nome a qualcosa che gli sopravvive­rà non suscita in lui nessuna emozione: «È un dato di fatto, se lei è alto due metri lo considera una vittoria, la fa sentire speciale? No, lei è alto così, fine. Nessuno vive in eterno. Io mi sono divertito».

Erno Rubik sarà a Milano come ospite d’onore della prima edizione del festival ENTRAinGIO­CO (domani e domenica al SuperStudi­o Maxi), evento dedicato al mondo dei giochi da tavolo, puzzle e rompicapi. Sempre domani incontrerà gli appassiona­ti di enigmi nella sala Gioco per Sempre (ore 16.30), e poi allo stand di Spin Master, azienda produttric­e di “Rubik’s”, il cubo originale.

Ama l’Italia – il cubo gli ha regalato una vita di viaggi all’estero anche prima della caduta del muro di Berlino – e prevedibil­mente Leonardo è uno dei suoi eroi (con Albert Einstein). «L’Italia è ovunque nel mondo, con la sua influenza culturale per la quale ho sentito sempre una forte affinità. Ma mi sono sempre considerat­o europeo, da sempre. Quindi anche un po’ italiano».

«IL CUBO È PARTNER, NON AVVERSARIO. VINCI SE CI GIOCHI. GLI SCACCHI INVECE NON LI AMO: LÌ DEVI RAGIONARE PER SCHIANTARE UN NEMICO»

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