MACCIO CAPATONDA CHOC SE L’INFORMATICO PRECIPITA IN UN PASSATO NO HI-TECH
Da oggi su PrimeVideo il film Il migliore dei mondi «Senza certezze tecnologiche il nostro cervello va in pappa e tornano a galla le mancanze emotive»
Ennio Storto è un giovanotto diviso a metà. Tra analogico e digitale, tra un passato che ritorna e un pigro futuro. Ha perso contatto con le emozioni, i sentimenti, è legato piedi e mani a un’ipertecnologia ottusa e comodosa. Aldous Huxley, nel romanzo Il nuovo mondo, sosteneva che la libertà non esiste, «solo gabbie dorate». La profetica frase cade come un sasso sull’avventura umana di Ennio Storto raccontata senza retorica e con occhio divertito nel film Il migliore dei mondi da Maccio Capatonda, l’uomo delle parodie e delle web series, al secolo Marcello Macchia, classe 1978, dall’abruzzese Vasto. Capatonda è protagonista e regista di questa «fanta-disto-dramedy» prodotta da Lotus Production e Medusa con Prime Video, che la propone da oggi. Ennio usa le parole di Huxley per impressionare la ragazza con cui vorrebbe andare a letto. Ma l’insegnamento ha valore universale.
Dice Maccio: «La felicità è sfuggire alle gabbie, dorate o meno. Da ragazzo vivevo a Chieti, dove non succede mai nulla. Sognavo mete lontane e viaggi meravigliosi. Suonavo la chitarra. Negli anni del liceo scientifico scrivevo un giornalino comico e dirigevo piccoli film». Più tardi sono venuti gli show, le parodie tv, i finti reality da produttore, i libri. All’idea del cinema è arrivato presto: «Decisi a 7 anni. Nel 1985 vidi Ritorno al futuro di Zemeckis. Mi piacque talmente che tornai in sala tre volte, ci portai i parenti. Mi identificavo in Marty McFly (Michael J. Fox), nel suo viaggio nel tempo. Dentro di me pensavo che, se fossi riuscito a fare strada nel cinema, avrei salvato, come fa lui, il matrimonio dei miei genitori, allora in una fase conflittuale che poi passò».
Ennio Storto è il titolare di un negozio di informatica con Alfredo, il fratello rivoluzionario (Pietro Sermonti): è un uomo viziato dalle connessioni facili, «uno che non vuole farsi coinvolgere e sostiene di vivere al 40 per cento». Quando finisce in un universo parallelo, un 2023 alternativo molto simile al 1999, con una tecnologia timida, entra in una fase di totale disagio. «Se cancelli le certezze informatiche, il cervello va in pappa. La sottrazione della tecnologia sottolinea le mancanze emotive». Ennio ritrova le cabine telefoniche, i Pentium, gli apparecchi Nokia e s’innamora di Viola (Martina Gatti). «La mia generazione, i 40/50enni, è vittima della transizione tra digitale e analogico. Per me quel passaggio è stato un’epifania. Nel 2000 ero un ragazzo che arrancava cercando di diventare regista, attore, montatore.
Giravo video e li montavo con un paio di videoregistratori usati. Pensi che svolta quando ho potuto accedere alla fibra ottica, ai programmi giusti e sono riuscito a montare con il pc». Nel film Ennio incontra Steve Jobs, che non è un fantasma, abita a Copertino (con la «o») e gli dice: sei stato grande, Steve, hai connesso il mondo. «L’importante è capire quando tutto questo ci è utile e quando invece ci fa perdere umanità».
Maccio crede nel futuro, ma dichiara di essere più pessimista che ottimista. «Penso che la vita ogni tanto te la devi sudare. Se la strada è spianata, perdi mordente». Negli anni Novanta era un giovane cinefilo: «La perdita precoce dei capelli, intorno ai quattordici anni, mi ha tolto sicurezza. Con il tempo, però la debolezza è diventata un punto di forza. Tanto che ci ho costruito sopra il nome d’arte, Capatonda».