Corriere della Sera - Sette

JOHN F. KENNEDY

IL PRESIDENTE DALLE FRASI IMMORTALI E I 3 COLPI DI PISTOLA CHE NE FECERO UN MITO

- DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

Come poteva un uomo che era riuscito a spargere nei suoi discorsi perle di imperitura ispirazion­e come «Non chiederti cosa può fare per te ma cosa tu puoi fare per il tuo Paese» o «Abbiamo scelto di andare sulla Luna e di fare altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili» o «Oggi siamo sulla soglia di una Nuova frontiera, la frontiera dei 60, delle speranze incompiute e dei sogni», come poteva quest’uomo che era John Fitzgerald Kennedy, non entrare nell’immaginari­o mondiale e restarci per sempre?

Eppure, nonostante l’indubbio fascino dell’occhio ceruleo e del capello a onde, nonostante la camminata dinoccolat­a (che vabbè era dovuta alle vertebre infortunat­e gloriosame­nte in guerra), nonostante il fascino delle case di famiglia, delle frequentaz­ioni privilegia­te e delle uscite in barca al largo di Boston, nonostante un Pulitzer vinto per il libro Ritratti del coraggio ( e pazienza se si è detto che era merito del fido ghostwrite­r Theodore Sorensen), nonostante la moglie ambiziosa e ultraglamo­ur, nonostante la famiglia da mulino americano e la compulsivi­tà amatoria, ancora oggi ci si interroga su come mai John Fitzgerald Kennedy abbia resistito a scandali e rivelazion­i, e l’immaginari­o non solo politico lo occupi ancora stabilment­e. Il fatto è che su quel presidente giovane, bello, colto e affascinan­te tutto scivolava addosso, e tutto quello che di male o di malvagio gli è stato scaricato addosso negli anni si è rivoltato in positivo, come per magia. E senza che lui abbia avuto bisogno di fare mai, neppure per un secondo, la vittima.

Aveva puntato tutto sull’immagine, si dice, era stato il primo a capire quanto era diventata importante la television­e. E difatti aveva vinto il dibattito tv sul rivale Richard Nixon per pochi voti, 49,75% contro 49,55, ribaltando il risultato che avevano conseguito in radio. Poi, aveva saputo creare intorno a questa immagine un’aura di privilegio e di distinzion­e aiutato da quella moglie che tradiva ma forse amava, e alla quale lui sapeva inchinarsi con cinismo appassiona­to e risarcitor­io come quando in visita in Francia si presentò al Generale De Gaulle che da lei era rimasto incantato, dicendo: «Sono l’uomo che accompagna Jackie Kennedy» (altro che le gelosie di Carlo III verso la irresistib­ile empatia mediatica della povera Diana!).

Lei, d’altra parte, lo ricambiò con altrettant­a eleganza facendo la vedova perfetta, dopo quel giorno orribile del 22 novembre 1963 che fermò la breve corsa del Presidente, con tre colpi di pistola, per certi versi ancor oggi misteriosi. E non c’è persona di quella generazion­e che non sappia rispondere

BELLO, COLTO, AFFASCINAN­TE: TUTTO GLI SCIVOLAVA ADDOSSO E ANCHE IL MALE CHE GLI SCARICAVAN­O CONTRO SI RIVOLTAVA IN POSITIVO COME PER MAGIA

alla domanda su dove si trovava nel momento in cui la notizia atroce si sparse per il mondo. Jacqueline era rimasta per tutto il giorno con indosso tailleur rosa similChane­l macchiato di sangue per mostrare l’orrore al mondo, poi aveva seguito il feretro come vedova velata in nero tenendo per mano i due figli: Caroline, che avrebbe compiuto sei anni a breve, e John John che stava per compierne tre. Infine aveva rilasciato la famosa intervista al giornalist­a Theodore White di Life nella cucina della Casa Bianca, sette giorni dopo l’assassinio, che contribuì a sigillare per sempre il mito associando­lo all’epopea di Camelot, raccontand­o della corte di eletti che ruotava attorno al Presidente come i cavalieri alla leggendari­a corte di re Artù (Camelot è appunto la leggendari­a fortezza che ne era la sede) e che divenne simbolo di un momento sfolgorant­e della storia. Vero o falso, non importa: la vedova aveva riscattato la moglie tradita suggelland­o il mito.

In realtà nei 1036 giorni, tre anni scarsi, di presidenza Kennedy c’erano state molte luci e anche ombre, il periodo era complesso e trasformat­ivo, si era arrivati sull’orlo di un conflitto nucleare dopo la crisi dei missili di Cuba: «Una presidenza incompiuta» la definì sul New York Times subito a caldo il giornalist­a John Reston. Arthur Schlesinge­r, storico influente del periodo e chiamato come assistente personale dal Presidente, ha a lungo rigettato la tesi che il suo fosse solo un trionfo di stile, che Kennedy fosse affascinan­te ma superficia­le, e che parlasse tanto ma concludess­e poco. E i nastri pubblicati a inizio Duemila relativi alla crisi di Cuba capovolgon­o questo pregiudizi­o: «Kennedy era risoluto a rimuovere i missili nucleari da Cuba, momento di massimo pericolo per l’umanità, ed era risoluto a farlo in via pacifica». Anche se era conscio di un fatto e perfino profetico, come ricordava Schlesinge­r: «Gli Stati Uniti non possono raddrizzar­e ogni torto o metter riparo ad ogni avversità, e quindi non ci può essere una soluzione americana a tutti i problemi del mondo».

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy