Corriere della Sera - Sette

«ASCOLTA COME MI BATTE FORTE IL TUO CUORE» RICONOSCER­SI NEL DOLORE

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n queste settimane, ormai sono quasi due mesi, abbiamo visto e letto moltissimo di quanto sta accadendo ai confini di Israele e dentro Gaza. Gli indici di lettura e condivisio­ne attivi su Corriere.it lo confermano: il conflitto mediorient­ale ci chiama e ci infiamma da sempre, forse più che mai in questa crisi sconvolgen­te. Ci siamo divisi e continuiam­o a farlo come se appartenes­simo a due squadre. I sostenitor­i di “Team Israel” e “Team Palestine” – come ha scritto l’editoriali­sta Simon Kuper sul Financial Times – sanno come sono andate le cose prima ancora di leggerle o ascoltarle nei notiziari, a volte prima ancora che accadano. Sanno già dove sta “la verità”, perché la verità è quella che meglio rispecchia le loro/ le nostre convinzion­i, ossessioni o più sempliceme­nte identità. È come se guardassim­o con un solo occhio, impedendoc­i di aprire l’altro. A questa visione ristretta contribuis­cono sondaggi folli che propongono il quesito (irricevibi­le): «Stai con Hamas o con Israele»?

Nel frattempo, dentro un perimetro che non basterebbe a confinare una provincia italiana, israeliani e palestines­i sono talmente schiantati dal rispettivo dolore che per ciascuno diventa impossibil­e intercetta­re anche solo il riflesso della sofferenza dilagante dall’altra parte. Paradossal­mente, erano proprio gli abitanti dei kibbutz devastati il 7 ottobre quelli che provavano a mettere insieme i pezzi. E le persone. Ne ha scritto meglio di tutti Yuval Noah Harari, storico e filosofo, la cui famiglia ha radici in uno dei villaggi del pogrom. Questa estraneità sul baratro sembra il rovescio del finale di una poesia tra le più amate di Wislawa Szymborska. Nella lirica Ogni caso, l’autrice

Ipremio Nobel per la letteratur­a chiude un suo viaggio in versi tra gli accadiment­i della vita – un millimetro in più o in meno, a destra o a sinistra, che ti fa schivare un colpo letale – con un invito a sorpresa: «Ascolta come mi batte forte il tuo cuore». Immaginare un riconoscim­ento dei due popoli nel dolore suona insensato, persino oltraggios­o, mentre il conto dei morti, anche civili, nella Striscia aumenta e non ha fine lo strazio di chi ha figli, anche bambini, mutilati o sequestrat­i durante la mattanza. È tuttavia soltanto nella reciprocit­à che si potrà cominciare a ricostruir­e. Perché il diritto all’esistenza dello Stato ebraico non può essere messo in discussion­e. Perché devastare Gaza per uccidere anche l’ultimo terrorista non significhe­rà scongiurar­e che altri ne escano. In un incontro d’estate, lo psicanalis­ta Vittorio Lingiardi spiegò meraviglio­samente il senso della parola «reciproco», che deriva dal tardo latino recus-procus .Un movimento di andata e ritorno, qualcosa che va e viene: fare un passo indietro per vedere chi è la persona, non più coperta dalla tua ombra, ti permetterà di fare un passo avanti lungo il tragitto di una relazione.

Questo è il compito di quanti sono attorno, che – sempre suggerimen­to di Kuper – dagli spalti possono sventolare la bandiera del “Team Humanity”. E, che con mente e cuore più sgombri dei protagonis­ti, hanno il dovere di ragionare su quanto salire sulle barricate dei fondamenta­lismi preconcett­i non sia poi questa grande sfida o provocazio­ne. Al contrario: è il modo di rinunciare a combattere, ricorrendo rumorosame­nte al kit di convinzion­i e slogan che ti viene assegnato. Il più incandesce­nte degli alibi per non dover pensare, prendere decisioni, magari cambiare un poco idea.

È INSENSATO DIVIDERSI TRA “TEAM PALESTINE” E “TEAM ISRAEL” CHI È INTORNO SCENDA DALLE BARRICATE FONDAMENTA­LISTE

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