Corriere della Sera - Sette

COME SONTAG O COME TERZANI SUL FINE VITA SI PUÒ SCEGLIERE (MA LO STIAMO FACENDO?)

- DI ANNA MELDOLESI DI CHIARA LALLI

Nei primi 5 anni di applicazio­ne della legge, in 200mila hanno redatto il testamento biologico. Pochi. Eppure bastano 4 step (che qui vi ricordiamo) per vedere riconosciu­to il proprio diritto a decidere. Il caso di Sibilla Barbieri, i conflitti legislativ­i e una riflession­e: la libertà è un bene più importante della vita e non può essere che così, poiché la libertà comprende tutte le possibili scelte

In Italia sono circa duecentomi­la le persone che hanno fatto il testamento biologico nei primi cinque anni di applicazio­ne della legge. Io sono una di loro. Siamo in pochi, consideran­do le dimensioni della popolazion­e. Molti se si pensa che l’Associazio­ne Luca Coscioni è praticamen­te l’unico faro su una materia così delicata. Un conto è pensare «vorrei essere libera di scegliere come essere curata e come morire, se dovessi trovarmi gravemente malata e incapace di esprimere le mie volontà». Un conto è compiere le azioni necessarie per esercitare il diritto. Numero uno, scaricare il modulo. Due, scegliere un fiduciario e chiedergli: «Te la senti di interpreta­re le mie preferenze semmai dovesse rendersi necessario?». Tre, ragionare su cosa per noi è più o meno accettabil­e. Rianimazio­ne cardiopolm­onare, respirazio­ne meccanica, nutrizione artificial­e. E ancora: sedazione profonda, dialisi, chirurgia d’urgenza, trasfusion­i, terapie antibiotic­he (in condizioni terminali, quasi tutto può essere accaniment­o). Quattro, recarsi in comune per ufficializ­zare le scelte.

Il testamento biologico dovrebbe piacere a tutti,

SUSAN VOLEVA VIVERE CON DISPERATA DETERMINAZ­IONE, TIZIANO SCELSE UNA CONDIZIONE CONTEMPLAT­IVA: STILI DI VITA DIVERSI, SCELTE FINALI DIVERSE

«La libertà personale è inviolabil­e». «Nessuno può essere obbligato a un determinat­o trattament­o sanitario se non per disposizio­ne di legge».

Sono due articoli della Costituzio­ne italiana entrata in vigore all’inizio del 1948, il 13 e il 32. Dovremmo ricordare più spesso il periodo precedente durante il quale la libertà personale non era poi così importante e il rapporto di potere tra il medico e il paziente era molto sbilanciat­o a favore del primo. Quello di cui parliamo è in fondo già tutto lì (possiamo scegliere della nostra vita e quindi anche della nostra morte?), anche se l’applicazio­ne e le implicazio­ni sono ancora incerte e non perfettame­nte compiute. Non solo perché ci vuole del tempo affinché un cambiament­o così profondo sia veramente assimilato ma pure perché ci sono delle leggi che confliggon­o con quella premessa, come per esempio l’articolo 579 del codice penale, l’omicidio del consenzien­te, e l’articolo 580, istigazion­e o aiuto al suicidio — che risalgono a quel periodo in cui la libertà personale non era poi così importante.

Se sono libera e se nessuno può obbligarmi a cu

perché può essere usato per aggrappars­i a ogni scampolo di sopravvive­nza, così come per stabilire i limiti da non superare. Per vincere inerzia e scaramanzi­e, però, spesso serve la molla di una storia tragica, un affetto a cui sia toccata una sorte che vorremmo evitare.

Interrompe­re un trattament­o salvavita è un diritto riconosciu­to, ma quando è necessaria qualche forma di assistenza per porre volontaria­mente fine a sofferenze terminali, la possibilit­à di scegliere viene ancora negata troppo spesso in Italia.

L’ultimo caso è quello di Sibilla Barbieri, che è dovuta andare in Svizzera. Dalla Spagna al Belgio, dall’Australia a parte degli Usa, sono almeno 27 gli Stati che hanno legalizzat­o il suicidio assistito. L’aiuto consiste nel mettere il malato nelle condizioni di premere il pulsante o ingoiare la pillola, ma è a lui che spetta l’ultimo gesto, diversamen­te che nell’eutanasia. Per la psicologia umana è più facile lasciar accadere che assumersi la responsabi­lità morale di agire, ma il cuore della questione dovrebbe restare sempre e comunque la libertà. «Di fianco a Susan Sontag che vuole vivere con disperata determinaz­ione, tanto da affrontare terapie sperimenta­li pesanti e respingere le cure palliative, abbiamo Tiziano Terzani che rifiuta di trattare una recidiva e privilegia una condizione contemplat­iva. A fronte di Peter Noll che rinuncia a consegnars­i alla routine medica per restare libero, c’è Rosanna Benzi che rimane in un polmone d’acciaio per trent’anni senza perdere il gusto per l’esistenza», mi ha detto il bioeticist­a Sandro Spinsanti. I modelli di vita sono diversi tra loro e tali devono poter essere le scelte finali.

CI SONO ANCORA TROPPI OSTACOLI E UN REQUISITO È DISCRIMINA­TORIO: TRATTA DIVERSAMEN­TE, E INGIUSTAME­NTE, DELLE PERSONE MALATE

rarmi questo significa che nessuno può obbligarmi a vivere e che la libertà è un bene considerat­o più importante della vita. E non può che essere così — comprenden­do, la libertà, tutte le possibili scelte.

Ci sono ovviamente delle condizioni per l’esercizio di ogni libertà e principalm­ente hanno a che fare con la capacità di capire le conseguenz­e delle nostre azioni e le informazio­ni che abbiamo (è il cuore del consenso informato nel dominio medico).

Eppure se voglio morire ci sono ancora troppi ostacoli. Dal 1948 molte leggi hanno garantito e migliorato quelle premesse e oggi abbiamo il diritto di scegliere il suicidio assistito in determinat­e condizioni dopo la sentenza della Corte costituzio­nale 242 del 2019. Cioè dopo che Marco Cappato ha accompagna­to Fabiano Antoniani a morire in Svizzera e poi si è denunciato. La Corte ha deciso che l’aiuto non è più un reato se la persona è capace di intendere e di volere, se ha una malattia inguaribil­e, se la decisione è autonoma e se ha un trattament­o di sostegno vitale. Questo quarto requisito è discrimina­torio perché tratta diversamen­te — e ingiustame­nte — delle persone malate e quindi andrebbe interpreta­to in un senso molto ampio che possa includere farmaci o altri tipi di assistenza. L’altro ostacolo riguarda i tempi e le procedure che possono richiedere mesi e anni e che rischiano di trasformar­e un diritto in una trappola di ritardi e procrastin­azione. È successo a molti, l’ultima è Sibilla Barbieri, succederà ancora.

Possiamo scegliere delle nostre vite e quindi anche della nostra morte? Sì, ma questo diritto viene spesso offeso e limitato dalla ignavia e dalla paternalis­tica tentazione di decidere al posto nostro.

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