Corriere della Sera - Sette

AI NOSTRI RAGAZZI ABBIAMO PROMESSO IL BENGODI MA ERA UNA BALLA

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Qualcuno ha detto che la nostra generazion­e, quella dei “baby-boomers”, è stata la prima a disobbedir­e ai genitori e la prima a obbedire ai figli. Deve averlo detto uno di noi. Siamo infatti anche la prima generazion­e ad eccellere nell’autodenigr­azione, in preda a un protagonis­mo così esasperato da farci credere responsabi­li di tutto, anche del male. È vero, ce l’avevamo con i nostri genitori, e abbiamo contestato la loro autorità. Ma eravamo anche consci della riconoscen­za che dovevamo loro. Perché da bambini li avevamo visti arrancare, lavorare, correre, sacrificar­si. Avevamo visto se non la povertà quantomeno la sobrietà delle loro vite. E comprendev­amo quanto doveva essere stato difficile portarci fin lì, all’università, alla prima automobile, al benessere del miracolo economico, prima ancora che noi facessimo alcunché per meritarcel­o.

Credo che invece oggi nei confronti dei nostri figli (i quali, non a caso, non si ribellano nemmeno) siamo animati da uno sconfinato senso di colpa. Come se tutte le difficoltà della nuova generazion­e, peraltro la più ricca e la più sana di tutta la storia, fossero nostra responsabi­lità. Di ciò che abbiamo fatto e non fatto, dell’effetto serra e della disoccupaz­ione, delle baby gang e della diffusione delle droghe.

Ora sì, lo ammetto: abbiamo le nostre colpe. Soprattutt­o quella di aver sperperato la ricchezza nazionale, accumulata dai nostri padri, in mille rivoli di assistenza e spreco, convincend­o così i figli che anche loro potessero continuare allo stesso modo, che i soldi da qualche parte ci sono, basta mandare al governo qualcuno che li distribuis­ca. Ma non sono d’accordo con la retorica sulla “generazion­e perduta”, cui noi padri cattivi avremmo “rubato i sogni”, lasciandol­i alle prese con “l’eco-ansia” e il “bonus-psicologo”.

Penso al contrario che siamo responsabi­li di aver messo tra loro e il senso del dovere, tra loro e la disponibil­ità al sacrificio, una distanza siderale, molto maggiore di quella che divideva noi dall’impegno e dai sacrifici dei nostri genitori. Il risultato è davanti agli occhi. I ragazzi di oggi – non tutti, le eccezioni ovviamente sono numerose e ammirevoli – ci chiedono fin da piccoli di abbassare l’asticella dello stress il più possibile. E noi, diligenti, lo facciamo. Come spiegarsi altrimenti la proliferaz­ione dei licei e dei corsi di laurea, se non come il tentativo di adeguare la difficoltà degli studi alla scarsa voglia degli studenti, in modo che tutti possano superare l’ostacolo – o almeno credere di averlo fatto – e conseguire un titolo di nessun valore sul mercato del lavoro perché così deprezzato? Come spiegarsi la contestazi­one del merito come criterio di valutazion­e, e dei voti come strumento di misurazion­e? Come spiegarsi le rivolte dei genitori contro i compiti a casa, o contro il sabato a scuola, in nome del dio week end?

I nostri figli non sono responsabi­li dell’epoca in cui sono nati, e dunque non sono tenuti all’idea di competizio­ne che ha selezionat­o noi da giovani. Però sono ragazzi intelligen­ti. E dovrebbero ormai aver capito da soli che il Bengodi che gli avevamo promesso era una balla, e che la vita è un’altra cosa.

SIAMO RESPOSABIL­I DI AVER MESSO UNA DISTANZA SIDERALE TRA I GIOVANI E LA DISPONIBIL­ITÀ AL SACRIFICIO

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