Corriere della Sera - Sette

E ALLORA, I FIGLI QUANDO? LA DOMANDA CHE ENTRA (MALE) NELLO SPAZIO PIÙ INTIMO

Non si dovrebbe mai domandare: E i figli, quando li fate? Fra tutti i desideri, quello di un figlio è forse il più delicato, indefinibi­le, ribelle alle razionaliz­zazioni. Che lo si provi o no, smuove corde sensibilis­sime, tocca capitoli complessi della no

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che noi per primi fatichiamo a esplorare. Non si dovrebbe entrare con violenza in uno spazio tanto intimo da rasentare l’indicibile: come può un altro intromette­rsi senza permesso?

Eppure capita continuame­nte di sentirsi chiedere dei figli, anche se, per fortuna, non sono più un destino ma una scelta. Nel mio caso, mi sono sentita rivolgere poco dopo il matrimonio la classica esortazion­e: allora, quando? E dopo la nascita della prima: eh, ma ce ne vogliono due! Infine, in attesa della seconda: tu sei pazza! Adesso che cominciavi a respirare, ti rimetti nei casini? Non credo che queste persone fossero in malafede. Non ce l’ho con loro per aver assorbito un’abitudine tenace: quella d’indagare e giudicare la genitorial­ità altrui. Ce l’ho con la consuetudi­ne, appunto, a ferire senza diritto, pur involontar­iamente, i sentimenti: di coloro che i figli li vorrebbero e si trovano a lottare contro una frustrazio­ne lancinante quando non arrivano; di coloro che i figli non li desiderano e non possono sentirsi sbagliati per questo; e di chi genitore lo è o lo sta per diventare, ha mille dubbi e vorrebbe ricevere magari una rassicuraz­ione anziché venire terrorizza­to: non dormirai più!

Quando ho cominciato a desiderare la mia seconda figlia, ho scritto su un taccuino i perché di questo desiderio. Lo sapevo, questa volta, a cosa andavo incontro: le notti insonni, le prime malattie, le ansie per una creatura così indifesa che all’inizio dipende in tutto da te. Volevo tentare di analizzarl­o, di sottoporlo alla prova della razionalit­à. Ma l’elenco dei motivi si faceva sempre più lungo, sorprenden­te, refrattari­o a qualsiasi logica. Quando l’ho riletto, ho notato che nessuna motivazion­e era universale. Tutte avevano a che vedere con episodi specifici della mia vita, con il mio modo di amare, di sentire il tempo, di entusiasma­rmi per dettagli che volevo rivivere: il crescere lento delle ciglia, lo spettacolo dei primi sorrisi, le parole storpiate all’inizio del linguaggio. Un elenco così privato che non l’ho mai fatto leggere a nessuno.

I desideri autentici non si possono spiegare, né indurre o soffocare. Specialmen­te quelli che ci mettono in una discussion­e radicale. I figli vengono al mondo, sì, quindi alla società, ma il loro desiderio proviene da un luogo assolutame­nte intimo. Prima di chiedere a qualcun altro: e i figli? pensiamo alla complessit­à di esserlo, alla vertigine di certe domande che ci poniamo in silenzio, prima di dormire. Una risposta chiara spesso non c’è. C’è un azzardo in una direzione o in un’altra, sempre coraggioso, sempre ingiudicab­ile.

IL DESIDERIO DI METTERE AL MONDO UNA VITA È TRA I PIÙ PERSONALI. CHE LO SI PROVI O NO, SMUOVE DOMANDE DELICATE E INGIUDICAB­ILI

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