«ROMITI MI PREPARÒ UNA CENA TUTTA A FORMA DI CUORE SGARBI SCRIVEVA DI NOTTE E VENIVA A LETTO ALLE 6 DI MATTINA»
La stilista in Io nasco che immaginaria racconta la sua vita: la festa per i 18 anni con mille persone a palazzo Corsini, i viaggi in treno con Oreste Scalzone «così magro che dormiva sui retini per le valigie», gli amori con uomini di cultura e di potere
ambina tutta vestita di bianco a inizio anni Cinquanta, adolescente al ballo per i suoi 18 anni, mille persone a palazzo Corsini in abito alta moda firmato Mila Schön per lei e la mamma, e poi poco dopo nella Swinging London del ‘67 dove ha buttato via in un giorno il kilt e il cerchietto in testa per farsi investire dal cambiamento vorticoso che arrivava dalla strada. E ancora, tornata in Italia, manifestante sull’altro fronte in pelliccetta azzurra e poi via via ideatrice di una moda accessibile e diversa, assessore alla Regione Toscana dove è stata pioniera della sostenibilità, e ancora l’amore con potenti e non: la stilista Chiara Boni racconta la sua vita, anzi le sue mille vite con l’aiuto della giornalista Daniela Fedi nel libro Io che nasco immaginaria. Testimone perfetta di una generazione, quella dei baby boomer, Chiara ha incrociato la storia in tutte le svolte anche quelle più delicate, vivendole al di qua e al di là della barricata, da signorina buona famiglia a protagonista del costume e della società, fino a diventare imprenditrice in proprio convincendo con i suoi abiti in tessuto jersey
Bstretch non solo le donne italiane. Tutto vissuto con curiosità onnivora. Una vita a cavallo fra potere e contropotere: più di altri del suo tempo, dagli anni Sessanta in poi, ha pendolato fra i due mondi. «Sì certo la cosa curiosa è che ho percorso il secolo passando attraverso tutto e conoscendo tanti personaggi. Per me è stata una scoperta uscire dal mio mondo borghese dove ti vestivano tutta di bianco da piccola e poi andavi ai balli in giro per l’Italia e vedere che esisteva un altro mondo molto più ricco intellettualmente che io non avevo toccato, non avendo fatto l’università, perché non era contemplato. E quel mondo mi ha aperto le idee, e mi dato una visione, fino ad allora i miei sogni erano quelli di sposare il principe azzurro. Che poi in realtà ho incontrato proprio nel mondo della contestazione, ed è stato il mio primo marito Titti Maschietto».
Un principe rosso più che azzurro?
«Sì, un borghese ma rivoluzionario, colto e con amici interessanti, faceva Architettura a Firenze, con lui ho conosciuto Umberto Eco, Pio Baldelli, Ettore Sottsass. In seguito abbiamo conosciuto il gruppo
di Potere operaio con Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone. Pensi che un giorno mio padre, che ce l’aveva con me perché ero diventata così diversa da quella che conosceva, ci incontra sulla spiaggia all’Augustus a Forte dei Marmi mentre eravamo a prendere il sole, e proprio Scalzone si alza ed educatamente saluta: “Buongiorno, come sta?”. E mio padre mi dice: “Ecco, questi sono i ragazzi carini che dovresti conoscere”. Non aveva capito evidentemente chi era».
Quelli erano i primi momenti del movimento degli studenti. Poi l’aria è cambiata.
«Sì, c’era un po’ un mix in quel momento, si partecipava insieme e non ti rendevi conto anche dei rischi, perché credevi talmente tanto che dovesse succedere qualcosa di bello e di buono. Giravamo l’Italia, in treno, ricordo che Scalzone era così magro che quando era stanco lo issavamo sui retini delle valigie e lui dormiva un quarto d’ora, e poi lo tiravamo giù. Ma poi noi siamo stati fortunati a non entrare nella lotta armata. Forse anche perché io ho sempre difeso la mia identità. Andavo alle manifestazioni in pelliccia celeste, e litigavo con Titti perché lui voleva che mettessi l’eskimo, e io dicevo “se mi vogliono io sono così; ci sono, ma non sono come gli altri”. E come mi sono arrabbiata una sera a un convegno studentesco dove parlavano solo i maschi, i classici capetti, quando a un certo punto uno mi ha detto: “La compagna della rosa rossa (perché avevo una rosa rossa al collo) vada a fare la colletta!”. Mi sono stufata del fatto che noi donne dovessimo essere trattate così, angeli del ciclostile e di tutto, e da lì sono diventata femminista, mi sono allontanata dal movimento e ho cominciato a lavorare, partendo da un negozio di antiquariato perché per mia mamma la boutique era poco chic. Solo dopo è venuta la moda, con You Tarzan me Jane e il resto. Negli anni Cinquanta una bambina separata non aveva vita facile, alcune amichette non mi
«ALTRO CHE ESKIMO, IO ANDAVO ALLE MANIFESTAZIONI CON UNA PELLICCIA CELESTE: SE MI VOGLIONO, SONO COSÌ»
invitavano neppure. Ma non è che ce l’ho con mia madre per questo, a mia madre ho voluto tantissimo bene lo stesso: mi ha sempre supportato poi ha fatto anche i fatti suoi, ma ha fatto bene. Non si è resa infelice quindi dispensava amore».
Veniamo ai suoi amori. Un giovane Sgarbi per esempio.
«L’ho conosciuto a Cortina, non ancora famoso come adesso ma con fascino intellettuale: mi ha rapito, è stato un periodo bellissimo. Lui mi portava via e mi faceva girare mezza Italia a vedere capolavori e musei che faceva aprire nel cuore della notte e alla fine arrivavamo la sera a Ro Ferrarese, a casa della sua mamma: lui cominciava a scrivere gli articoli con lei, io andavo a dormire poi lui arrivava a letto alle 6 di mattina. Poi mamma Rina faceva i tortellini e venivano a mangiare scrittori, pittori, era divertentissimo. Sua sorella Elisabetta mi ha detto “mi hai fatto piangere con il ricordo di queste giornate”. Lui si arrabbiò moltissimo quando lo lasciai». E dopo la cultura, il potere.
«Ho conosciuto Romiti per caso, poco dopo che ero arrivata al Gft, il Financial Textile Group, dove mi aveva chiamato Marco Rivetti. Romiti, che era alla Fiat e che era molto curioso, mi volle conoscere e mi ha invitato a cena, ma ho poi messo un sacco di tempo a capire che mi faceva la corte, a me sembrava centenario, anche se aveva 25 anni più di me, e ora riguardando le foto non mi pare così vecchio. Finché una sera fa fare una cena per me a casa della sua amica Marida Recchi: un pranzo fatto solo di cose a forma di cuore, il mio simbolo, una cosa meravigliosa, e a un certo punto mentre eravamo a tavola lui mi mette una mano sulla mano, io lo guardo e mi dico “cosa fa questo?”. Mi ha accolto e travolto con la sua energia. Ma non ho mai approfittato del potere, avrei potuto diventare potente ma non lo sono diventata. Perché non mi è neanche venuto in mente. Nel momento in cui io avrei avuto bisogno di lui non mi parlava perché qualcuno gli aveva raccontato che quando la nostra relazione si era già allentata per Mani Pulite io avrei avuto flirt con Paolo Mieli, Giovanni Malagò e Nicki Grauso, persone che erano grandi amici e basta. Avevano sbagliato obiettivi, se c’era qualcuno che poteva essermi piaciuto in quel periodo non era uno di loro».
Arriva invece nel 1996 l’amore con Angelo Rovati.
«Angelone, un gigante alto più di uno e novanta, da giovane giocatore di pallacanestro aveva militato anche nella Virtus a Bologna e lì aveva conosciuto Romano Prodi perché i suoi figli erano appassionati di basket e Angelo li faceva giocare. Angelo portava Prodi in macchina in giro per le campagne elettorali, era l’autista suo, di Alberto Clò e anche di Beniamino Andreatta, che era davvero speciale, dava del lei a Romano, si dimenticava la moglie in autogrill, era completamente distratto. Una sera è arrivato in areoporto con la pipa che fumava in tasca. Tra Angelo e Romano c’era affetto e fiducia reciproca, Prodi è stato suo testimone di nozze. Purtroppo quando ci siamo sposati Angelo era già molto malato, aveva un tumore da anni e non voglio ricordare neppure la data della sua morte, le ultime tre notti in casa sola con lui che urlava dal dolore: un incubo».
E ora l’amore consapevole, con Fabrizio Rindi.
«Un angelo mandato da Angelo. Mi faceva la corte nell’estate del 2013 quando è morto Angelo. Era vicino di barca. Ma io lo evitavo, quasi non lo salutavo, riconosco di essere stata scortese, ma vivevo un momento particolare».
Lui ama passeggiare e lei anche, ma come le ha poi raccontato, quell’estate cambiava gli orari: «Mi odia e non voglio disturbarla», si diceva. Un episodio tenero.
«Sì, lui è molto protettivo e con quel signore che ho tanto maltratto ho costruito un amore adulto e solidale».
«AVREI POTUTO DIVENTARE POTENTE, NON MI VENNE IN MENTE... QUANDO AVREI AVUTO BISOGNO DI LUI, CESARE NON MI PARLAVA»