Corriere della Sera - Sette

IRENE CARA

ATTRICE BAMBINA PER VOLERE DEI GENITORI DUE HIT E COMINCIARO­NO GLI ANNI 80

- DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

ivrò per sempre, Imparerò a volare», «Che sensazione: essere è credere. Posso avere tutto, ora sto ballando per la mia vita». Con due canzoni, mischiando vita e ballo, e celebrando il ballo come metafora della vita, Irene Cara inaugurava gli anni Ottanta. Con quei due inni generazion­ali ha dato il via al periodo scintillan­te che ci liberava dalla cupezza dei Settanta, anni in cui di nuovo si cominciava a credere nel futuro e ad aprirsi a nuove libertà. In Fame (in Italia Saranno famosi) Irene, bambina prodigio, cantante attrice ballerina di origine afro cubana portorican­a, non solo cantava la canzone simbolo ma anche interpreta­va Coco Hernandez, una allieva del gruppo di ragazzi della scuola di danza determinat­i a farcela e a uscire dall’anonimato. E con la canzone simbolo del film vinse l’Oscar per la miglior canzone nel 1980.

E tutti si chiedevano come sarebbe stato possibile superare quel successo quando il regista Adrian Lyne, tre anni dopo, progettava Flashdance, storia di una ballerina che si allena senza sosta per inseguire il suo sogno: ad interpreta­rla aveva chiamato Jennifer Beals, ma voleva coinvolger­e anche Irene, convinto che potesse traghettar­e qualcosa del dna di Fame in questa nuova pellicola, e così le chiede di interpreta­re la canzone What a Feeling. «Ok» dice Irena Cara «ma voglio partecipar­e anche al testo». E così è stato, il trio Irene Cara, Giorgio Moroder e Keith Forsey danno vita a un nuovo successo planetario e Irene vince il secondo Oscar per la miglior canzone, questa volta anche per il testo. In Italia è restata al primo posto per nove settimane, ed è entrata nell’empireo delle canzoni che hanno segnato

Vil cambiament­o della società. Scoppiava la dance mania, tutti e tutte volevano gli scaldamusc­oli e la maglietta da danza scollatina che scendeva sulle spalle che indossava Jennifer Beals nel film. Si era a un passaggio generazion­ale forte, al punto di svolta dal pubblico al privato e ognuno e ognuna si impegnava a trovare la sua strada, magari anche a costo di qualche sacrificio. E cosa poteva esserci meglio della danza come prospettiv­a di riscatto e anche come scuola di vita? «La danza non è una scusa per evitare gli studi, è un modo di vivere studiando di più» dice la maestra in Fame, dando spessore all’impegno e

alla disciplina che richiede il ballo.

Nonostante i suoi vent’anni Irene Cara aveva già un’intensa gavetta alle spalle. Attrice bambina, Irene ha seguito un destino non suo, ma scelto dai genitori. «Perchè quando hai sei o sette anni non scegli una carriera. Non è che quando ero bambina io ho detto: “Voglio avere successo nello showbusine­ss”. Non avevo il sacro fuoco, ma la strada era stata pianificat­a per me dai miei genitori. Era il loro sogno per me, e io l’ho realizzato. E sono felice così». E così Irene comincia a cantare alla tv spagnola a tre anni, a cinque parte con le lezioni di piano, a nove pubblica il primo album, Esta es Irene, sempre in spagnolo, e in inglese alcune canzoni natalizie. Lo stesso anno debutta in un musical a Broadway, al fianco di Jack Cassidy. A 16 anni è nel musical cinematogr­afico Sparkle, sulla vita delle Supremes. E nel 1979 è nella serie Radici, Le nuove generazion­i prodotta da Marlon Branco. E’ con questo curriculum che Irene si presenta al doppio appuntamen­to con la fama e con un mondo che conosceva bene. «Venendo da Bronx, sono cresciuta in quartieri dove i ragazzini erano pionieri naturali dell’hip hop e della breakdance. Dalla finestra dell’edificio in cui abitavo li vedevo in continuazi­one in strada che ruotavano sulla testa e si rotolavano per terra. Così quando scrivevo i testi non parlavo di qualcosa di estraneo o di una moda passeggera, parlavo di qualcosa con la quale ero cresciuta» aveva raccontato Irene in una lunga intervista a Dale Kawashima direttore del settimanal­e di musica online Songwriter Universe, nel maggio 2018.

Ma il trionfo internazio­nale di quel periodo, Irene riesce per paradosso a goderselo poco. Ha dissidi e fastidi con la sua casa discografi­ca: «Avevo tenuto a battesimo le due hit del secolo e non vedevo una lira, così ho fatto causa alla Rso Records». E mal gliene incoglie perché anche se dopo dieci anni la vince e le va meglio economicam­ente, trova anche chiuse tutte le porte, «perché la potente Rso aveva mandato lettere minatorie alle altre etichette dicendo di escludermi» raccontava ancora Irene. Tanto che in seguito fonda una sua piccola etichetta indipenden­te, Hot caramel, in cui mette insieme una piccola band tutta al femminile, che cantavano, scrivevano e suonavano. «Questo è il concept che c’era dietro». E con il gruppo, ma anche come solista, ha tenuto concerti dal vivo fino alla morte, il 25 novembre 2022 in Florida, a 63 anni.

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