Corriere della Sera - Sette

L’ESTREMA DESTRA VINCE IN OLANDA PERCHÉ SUCCEDE ADESSO?

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L’Olanda agli olandesi. Che vuol dire, in esplicito stile trumpiano, #MaketheNet­herlandsGr­eatAgain. Il 22 novembre Geert Wilders, 61 anni, ha stravinto le elezioni in uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea – a sorpresa per molti osservator­i, meno per chi aveva seguito gli ultimi dibattiti tv. Da un quarto di secolo in politica, il leader dell’ultradestr­a aspira ora a guidare il governo dopo i quattro mandati (13 anni) di Mark Rutte, il cui partito liberale di centrodest­ra è arrivato terzo, d’un soffio alle spalle dell’alleanza progressis­ta che fa capo a Frans Timmermans, ex vicepresid­ente della Commission­e Ue.

La domanda che ha senso porsi, non solo tra L’Aia e Amsterdam, è perché adesso. Perché il palinsesto populista del PVV, fondato 17 anni fa, sia riuscito a raddoppiar­e i propri seggi e a scalare tutte le posizioni in questo quasi inverno 2023. Le parole di Wilders nell’ultima uscita televisiva hanno fatto breccia, spostando verso le frange una parte dell’elettorato conservato­re: «I Paesi Bassi ne hanno abbastanza. Dobbiamo pensare prima a noi, alla nostra gente. Confini chiusi. Zero richiedent­i asilo». In passato (ora, in parte, rivisto) si era spinto a definire l’Islam «un’ideologia fascista» e «una religione reazionari­a». Fino a chiedere il bando di veli, Corano e moschee in Olanda. Minacciato di morte a ripetizion­e, inseguito da una fatwa partita dal Pakistan, dal 2004 vive sotto scorta, mantenendo un profilo privato bassissimo (a parte i due gatti attivi su Instagram e X) in contrasto con l’esuberanza da tribuno e la chioma platino, altro riverbero dell’ex presidente americano.

Alla linea anti-immigrator­ia, il leader del Partito per la Libertà unisce una grande reticenza verso Bruxelles (fino a far temere una chiamata al referendum, con conseguent­i pericoli di “Nexit” in scia britannica) associata a una posizione tiepida verso Kiev (le armi, ha spiegato Wilders, vanno piuttosto tenute per proteggere la patria). Un incubo per il fronte europeista che affronta una sfida identitari­a senza precedenti, in attesa del voto di giugno nei 27 Stati membri. Ci vollero nove mesi per formare il precedente governo Rutte, sicurament­e i tempi saranno lunghi anche questa volta. Ma una cosa è chiara a tutti. Tenere il PVV fuori da una coalizione tra non-vincitori rischiereb­be di infiammare ancora di più un elettorato che si è dimostrato sensibile agli appelli populisti.

«Perché adesso» ha dunque una risposta semplice. C’è una maggioranz­a sempre più silenziosa – non scende in piazza, si fa sentire meno sui social, a votare però va più degli altri – a cui la destra sa parlare, intercetta­ndone lo smarriment­o in mezzo al nero delle crisi internazio­nali e ai grigi delle incertezze interne. E questo anche nei Paesi meno in difficoltà. Se il no allo «tsunami dei visti», come lo ha definito Wilders, è la prima bandiera, dietro “lavorano” la crisi del sistema sanitario, l’impennata nel costo della vita guidata da un mercato immobiliar­e impazzito nelle città, lo spauracchi­o delle politiche ambientali­ste vissute come una minaccia nelle campagne.

E forse c’è di più. Parola-chiave delle elezioni è stata bestaansze­kerheid, che più o meno vuol dire «sicurezza del sostentame­nto»: scontrini al supermerca­to e affitti contano, certo, la formula tuttavia abbraccia il modo e i modi di vivere. Progressis­ti e centristi devono dimostrare che fuori dall’orizzonte ristretto dei 41.543 chilometri quadrati, nello spazio allargato e a volte indistinto dell’Unione, è possibile trovare risposte che vanno oltre il conforto della bestaansze­kerheid. La speranza di mondi migliori.

I MIGRANTI, GLI AFFITTI ALTI, LE TASSE VERDI... MA FORSE C’È ALTRO: UN’IDEA DI IDENTITÀ E SICUREZZA CHE I PIÙ MODERATI NON OFFRONO

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