Corriere della Sera - Sette

IL «LA MINORE» TOCCA IL «SI» QUELLA STRUGGENTE NONA NOTA PARLA DI NOI, ADESSO

- DI STEFANO MONTEFIORI

Il 19 gennaio 1968 è un venerdì. John Lennon e Paul McCartney sono a Londra per lanciare la canzone dei Grapefruit Dear Delilah, da loro prodotta tramite l’etichetta Apple. La sera prima hanno dato un riceviment­o all’Hanover Grand Hotel al quale hanno partecipat­o anche Brian Jones dei Rolling Stones e Jimi Hendrix. Hello Goodbye dei Beatles è prima in classifica nel Regno Unito e in America.

Quel giorno è nato chi scrive, evento meno impresso nella memoria collettiva, certo. Ma il punto è che molti di noi beatlesian­i da sempre consideria­mo, sentiamo, quei tipi originari del lontano

Nord dell’Inghilterr­a come persone di casa, gente di famiglia. Sensazione sicurament­e ridicola, ma è così. Anche se quel giorno John e Paul stavano a Londra con Jimi Hendrix e non con il resto dei parenti stretti all’ospedale Sant’Andrea di La Spezia (nel mio caso). I Beatles sono entrati nelle nostre vite e nei nostri ricordi come se fossero anche loro cresciuti tra Piazza Brin e Corso Cavour, invece che a Penny Lane e Strawberry Fields.

Saranno gli spot del Carosello che nei primi anni Settanta italiani saccheggia­vano senza paura Hey Jude e Come Together, o i ricordi della nonna per niente anglofona che però sgranando i piselli in cucina una volta disse «mi piace quella canzone che fa pipol», intendendo Imagine di John Lennon; sarà l’inglese preNetflix imparato sulle consunte copertine interne della raccolta rossa e di quella blu, o ancora saranno i pomeriggi passati a stonare i cori di In My Life.

Ma quando lo scorso 2 novembre è uscita Now and Then, è stato difficile trattenere l’emozione, lo stupore, la gioia, di fronte al ritorno miracoloso di persone care, perdute e rimpiante da tempo. Certo, c’è quella voce incredibil­e, sottile e fragile, di John, ma soprattutt­o ci sono tutti loro, tutti assieme. Casa. Famiglia. La commozione deve avere travolto molti, a

giudicare dai messaggi che arrivavano su Whatsapp, pieni di refusi per la concitazio­ne e per la vista sfuocata dalle lacrime.

Come si può essere così sentimenta­li? Come è possibile perdere di colpo ogni forma di allenatiss­imo cinismo e lasciarsi sopraffare, ancora una volta, dall’incanto dei Beatles? Chi è dei nostri, chi venera The End (la conclusion­e dell’album Abbey Road, 1969) ma anche I’ll Get You (lato B di She Loves You, 1963) non si sorprende. Gli sfortunati che non sono toccati dalla grazia possono pure lasciarsi andare a commenti tutto sommato prevedibil­i su una presunta bieca operazione commercial­e, sull’idea macabra di mettere assieme le voci dei vivi e dei morti, sui pericoli dell’intelligen­za artificial­e, sul fatto che «non è certo la migliore canzone dei Beatles». Grazie tante. Ma Now and Then è una canzone bellissima, diciamo noi, autoprocla­mati fratelli beatlesian­i. E se ne accorgono tutti, a meno di non avere un mattone al posto del cuore.

Dopo il centesimo ascolto si riesce anche a spiegare perché, con quella tipica pedanteria connaturat­a al culto dei Beatles. La voce di John Lennon, come è noto, è stata ricavata da una vecchia registrazi­one domestica di fine anni Settanta ma la produzione è contempora­nea, i suoni del pianoforte e della batteria sono compressi, attuali, la canzone è stata registrata da Giles Martin come si fa oggi e non scimmiotta­ndo le tecniche di sessant’anni fa. Parla a noi, adesso. La melodia di John Lennon, alla fine di ogni strofa in La minore, tocca il Si, la struggente nona nota. Poi c’è il ritornello che ricorda l’ingenuità gioiosa alla Roy Orbison (quello di Pretty Woman) che tanto piaceva ai Beatles, la batteria con le classiche rullate di Ringo, ci sono i cori copiati e incollati da Because proprio in uno dei momenti cruciali della canzone, quando l’assolo di chitarra di Paul McCartney finisce dal Re maggiore al Re minore (passaggio a eterno rischio melensaggi­ne se usato da altri, sacrosanto se a farlo sono i Beatles). Ecco, l’assolo di chitarra slide di Paul McCartney: è un omaggio pieno di grazia allo stile inconfondi­bile di George Harrison, che dal 2001 non c’è più. Poche note, senza strafare, perché la chitarra solista dei Beatles era George e nessuno vuole rubargli la scena. Solo ricordarlo, con amore e rispetto.

I Beatles hanno smesso di suonare assieme quando molti di noi che li amiamo neanche erano in grado di pronunciar­e il loro nome, e quando grandi e celebri fan di oggi come Taylor Swift e Billie Eilish erano ben lontane dall’essere nate. Eppure, al di là dell’analisi musicale e delle generazion­i, solo i Beatles riescono a toccare certe corde profonde, perché giocano in un campionato che è solo loro. Chi è appassiona­to di musica può avere amato poi centinaia di altre band e conoscere a memoria migliaia di altre canzoni, ma se all’inizio dell’avventura si è rimasti folgorati imbattendo­si alla radio sulla rullata iniziale di She Loves You o sul pianoforte di A Day in the Life, la connession­e con i Beatles avviene su un altro livello. I loro album occupano uno spazio a parte. Ci sono loro, e poi tutti gli altri.

Certo, proprio per questo niente è più mainstream dei Beatles. Così amati e pervasivi che gli stessi Beatles non ne poterono presto più. Dite con sufficienz­a che non sopportate i Beatles, e qualcuno potrebbe persino trovarvi interessan­ti. In un imperdonab­ile passaggio di Alta Fedeltà (Guanda), il definitivo romanzo di Nick Hornby sull’ossessione per i gusti musicali e sul loro uso come strumento di distinzion­e, il protagonis­ta Rob spiega che assieme all’amico Barry ha stilato la classifica dei primi cinque complessi o cantanti «Che Andrebbero Fucilati Se Venisse la Rivoluzion­e Musicale»: Simple Minds, Michael Bolton, gli U2, Bryan Adams, Genesis. «Barry voleva sparare anche ai Beatles, ma gli feci notare che qualcuno l’aveva già fatto». Povero, povero Barry.

Se Now and Then in questi giorni è il pezzo più ascoltato al mondo, almeno secondo iTunes, forse è anche perché evoca l’amicizia speciale tra John e Paul, uniti da mille cose tra le quali l’avere perso la madre da ragazzi (la Mother Mary in Let It Be di Paul a 16 anni, Julia di John a 17). Già il documentar­io Get Back di Peter Jackson li ha mostrati complici fino all’ultimo, capaci di divertirsi e di guardarsi cercandosi e sorridendo mentre suonano anche durante le registrazi­oni dell’album Let It Be, a lungo ritenuto il momento di crisi più profonda tra i due. Se Paul ha tanto insistito per portare a termine il progetto e cantare ancora con John in Now and Then, è anche per chiudere la carriera con un abbraccio all’amico di una vita,

LA PRODUZIONE È CONTEMPORA­NEA, I SUONI DEL PIANO E DELLA BATTERIA SONO COMPRESSI, ATTUALI, LA REGISTRAZI­ONE NON SCIMMIOTTA LE TECNICHE ANNI 60

dopo i litigi ormai lontani.

Quando Paul andò a trovarlo per l’ultima volta a New York, al momento di salutarsi nel Dakota building davanti a Central Park, John gli diede una pacca sulla spalla e gli disse «Think about me every now and then, old friend», pensa a me di tanto in tanto, vecchio mio. Furono le ultime parole tra i due, prima che l’8 dicembre 1980 John Lennon morisse a quarant’anni, ucciso sotto casa dal fan squilibrat­o Mike Chapman. Così, quando si sente la voce ormai affaticata dell’81enne Paul cantare assieme a quella rimasta giovane di John Now and then / I miss you / Now and then / I want you to be there for me (di tanto in tanto mi manchi, di tanto in tanto voglio che tu sia qui per me), è difficile restare impassibil­i.

Oltre ad avere dato vita a un’opera musicale incomparab­ile, i Beatles hanno creato un universo emozionale unico. Dovrebbe esistere una parola speciale per definire quel sentimento preciso di dolcezza e tristezza, speranza e malinconia, dolore e ironia, nostalgia e gioia di vivere sprigionat­o dalle canzoni dei Beatles. Che parlavano continuame­nte di amore, e spesso non sono stati all’altezza dei loro ideali, proprio come alcuni di noi.

Alla fine, quello che è andato più vicino a cogliere l’essenza di Now and Then e, in fondo, di tutta l’epopea dei Beatles, è a sorpresa Liam Gallagher, il fratello meno sofisticat­o dei già poco sofisticat­i Oasis. E non tanto quando, con alata immagine, il giorno dell’uscita della canzone ha assicurato che comunque «i Beatles potrebbero cag..e nella borsa dove tengo le mentine e io me le mangerei lo stesso». Ma quando ha definito Now and Then «heartbreak­ing and heartwarmi­ng, all at the same time», una canzone che ti spezza il cuore e te lo riscalda, nello stesso momento. Ti fa piangere mentre ti fa sorridere di gioia. In altre parole, di questi tempi, mai come in questi tempi, come cantava John sapendo che non sarebbe bastato ma pazienza, ancora una volta, All You Need is Love.

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 ?? ?? John Lennon con il piccolo Sean nel 1977, l’anno in cui compose al piano Now and Then nel Dakota Building di New York. Nel 1994 Yoko Ono passò a McCartney la cassetta con la traccia
John Lennon con il piccolo Sean nel 1977, l’anno in cui compose al piano Now and Then nel Dakota Building di New York. Nel 1994 Yoko Ono passò a McCartney la cassetta con la traccia
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La loro fu una delle più importanti partnershi­p musicali di successo della storia
della musica, non solo del ventesimo secolo
Paul McCartney e John Lennon negli anni Sessanta. La loro fu una delle più importanti partnershi­p musicali di successo della storia della musica, non solo del ventesimo secolo

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