UN CONSULENTE PER L’INTIMITÀ COSÌ LE SERIE TV «TRACCIANO I CONFINI»
Parla David Thackeray, che ha lavorato per le serie Netflix Sex Education e Heartstopper «Creiamo un ambiente più sicuro, ma anche la possibilità di sviluppare modi più creativi di portare la sessualità in scena»
Passionale, tenero, imbarazzante, rude, coinvolgente, romantico, goffo, giocoso, sorprendente, timido, segreto, innamorato, estenuante. Ecco una lista, nient’affatto esaustiva, di aggettivi che potremmo usare per definire le scene di sesso nella serie tv Netflix Sex Education, girata da Laurie Nunn e arrivata alla quarta e ultima stagione. Per garantire una tale complessità di sfumature c’è una figura specifica, quella dell’intimacy coordinator (in italiano potremmo tradurla come consulente dell’intimità). Non un lavoro di secondo piano: le scene intime costellano gli episodi della serie e ne sono l’architrave visto che è proprio dal sesso che parte e si dipana la trama. Sex Education infatti segue le vicissitudini di Otis, adolescente che si inventa consulente sessuale per i suoi coetanei del liceo, e del suo entourage, sviluppando sia temi connessi al sesso (il revenge porn, per esempio) che altri relativi al nostro contesto storico e sociale (abilismo e identità di genere, per citarne un paio).
David Thackeray è l’intimacy coordinator della serie dalla seconda stagione: londinese, già attore e regista, è stato uno dei primi a sviluppare questo ruolo ancora poco conosciuto. È successo per caso, racconta a 7: «Mentre lavoravo come regista mi è stato chiesto di aiutare a sviluppare linee guida per garantire un ambiente sicuro per gli attori quando recitano scene intime e questa esperienza mi ha permesso di svolgere un ruolo chiave nel dare forma a quello che oggi è l’intimacy coordinator». Sull’importanza di questa figura, che ricopre da circa sei anni (non solo per Sex Education: ha lavorato anche per altre serie tra le quali Heartstopper) non ha dubbi: «Garantire il consenso e stabilire confini non promuove solo un ambiente sicuro ma dà anche la possibilità di sviluppare modi più creativi di portare in scena l’intimità. Questo approccio fa sì che ci si interroghi maggiormente sul contribuito che queste scene apportano alla trama e in generale sullo sviluppo del personaggio. Insomma, le scene di sesso vengono affrontante con un diverso livello di dettaglio e sensibilità: noi intimacy coordinator diamo davvero potere agli attori, che hanno così la possibilità di esprimere dubbi e preoccupazioni e anche di dire no. Cosa che non sempre succedeva in passato. Prima che esistesse questo ruolo ci sono stati numerosi casi in cui i confini dell’intimità non sono stati rispettati».
Ne vengono subito in mente alcuni molto famosi come quello di Maria Schneider, protagonista di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, che rivelò di aver vissuto come un’aggressione la scena della sodomia simulata con il burro: non figurava nella sceneggiatura e l’attrice non era stata avvertita. Garantire il consenso è invece il cuore del lavoro delle figure come quella di Thackeray e diventa particolarmente importante in lavori come Sex Education che «mettono alla prova la nostra comprensione dell’intimità e spesso ne oltrepassano i confini». Sul set e pure, o meglio soprattutto, fuori, nella vita di tutti i giorni: «Consenso, intimità e trasparenza sono importanti: essere rispettosi dei confini che fissano le persone e riconoscere che possano cambiare è cruciale».
Ora questa figura è molto più conosciuta, basti pensare che molte delle principali serie di successo, da Sex Education a Bridgerton passando per Normal People e pure Il trono di spade, ne impiegano una. In Italia è da poco stato lanciato il primo corso per la loro formazione, promosso dalla Fondazione Anica Academy del cinema, dell’audiovisivo e del digitale -
Ets in collaborazione con Sky Italia.
Su come si sviluppa questo lavoro, però, ci sono ancora diversi malintesi. Primo fra tutti: il fatto che l’intimacy coordinator in qualche modo “intervenga” sulla scena. «È un termine che non rende giustizia a ciò che facciamo, anche se so che molte persone ci considerano una sorta di polizia sul set» spiega Thackeray. «Il nostro ruolo invece è fatto più di azione che di reazione, e comincia molto prima di girare le scene. Già dalla fase di pre-produzione, durante la quale creiamo un contesto di comunicazione, trasparenza, consenso, confini e protocolli chiusi. Questo riduce al minimo la necessità di interventi dell’ultimo minuto: avendo sistemato le basi non dovrebbero poi esserci sorprese. Un paio di esempi? Ci sono stati casi in cui ho dovuto sottolineare la necessità di girare con il set chiuso o mettere in discussione la presenza di persone non necessarie nella stanza, in modo da creare un ambiente confortevole per tutti i soggetti coinvolti».
Più veloce a dirsi che a farsi, perché per creare un contesto di questo tipo serve una lunga preparazione. Il lavoro di Thackeray comincia «non appena ricevo la sceneggiatura, che rivedo nei dettagli per analizzare e comprendere le sfumature delle scene intime. Parlo con il regista e a volte anche con i produttori per comprendere la loro visione. Il passo successivo è parlare con gli attori: voglio capire le loro preoccupazioni e sono aperto alle loro domande, facendo in modo che la loro comprensione delle scene sia allineata con la visione del regista. A questo punto inizia il lavoro con gli altri capi dipartimento, per esempio mi coordino con il reparto costumi per garantire la disponibilità di indumenti per coprire i nudi o realizzo protocolli chiusi se le scene sono delicate o complesse. Infine, le prove. Queste dipendono dal piano di produzione e dalla scena stessa, e possono essere previste il giorno delle riprese oppure anche con una settimana d’anticipo».
Sì, perché anche se a Sex Education i momenti intimi abbondano non tutti i giorni, sul set, si girano scene di questo tipo. Questo è uno dei due aspetti più difficili secondo Thackeray: «Ogni giorno è come iniziare un nuovo lavoro, anche se la produzione è sempre la stessa. Non sono lì sempre, direi una o due volte a settimana, e questo significa avere a che fare ogni volta con membri del cast e della troupe diversi: bisogna ripartire da capo di continuo». L’altro aspetto, sorprendentemente, riguarda la sua vita personale: «Il mio ruolo può essere davvero estenuante: cast e troupe devono essere in sintonia e tu ti ritrovi a trattenere i nervi per farti ascoltare. Quando torni a casa, in pratica, ti schianti dalla fatica».
La scena più impegnativa finora? I primi due minuti della terza stagione di Sex Education: «Si tratta di un montaggio di una grande varietà di momenti intimi: ci sono voluti circa sette mesi di riprese e le scene sono state girate in tanti posti diversi, anche all’aperto in una macchina, esplorando diversi livelli di climax per ogni personaggio. È stata una vera e propria sfida, ma la ricordo come un’esperienza fantastica».
Un’altra esperienza, stavolta assurda, è stata quella di una scena, sempre nella terza stagione della serie, in cui i personaggi simulano il sesso contro la parete di una roulotte: «Mentre lo fanno, il loro gatto si avvicina e un forno a microonde gli cade addosso. Quindi già la scena era bizzarra, in più fuori pioveva a dirotto e i due attori avevano uno humor tutto loro… insomma abbiamo avuto il nostro bel da fare ma è uno dei ricordi più divertenti che ho».
«Ci sono stati casi in cui ho dovuto sottolineare la necessità di girare con il set chiuso o mettere in discussione la presenza di persone non necessarie nella stanza»