CITTADINI DI UNA COMUNITÀ CHE RISPETTA LA GIUSTIZIA: L’INSEGNAMENTO DI AGOSTINO
Sono passati 531 anni da quando Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia completarono la «Reconquista», liberando la penisola iberica dagli «invasori» arabi. Un fatto storico con qualche sfumatura da non sottovalutare. «Reconquista» significa riprendere qualcosa che era stato portato via ingiustamente: e infatti gli altri sono gli “invasori”. È una descrizione adeguata di quello che era successo? A voler correre veloce lungo i secoli, la sequenza è questa: nel 1492 i re cristiani avevano (ri) conquistato la regione iberica, massacrando i governanti arabi. I quali arabi a loro volta avevano conquistato la penisola intorno al 720, massacrando i governanti Visigoti. I quali Visigoti, barbari provenienti dalle steppe centro-asiatiche, avevano preso definitivamente possesso dell’intera area intorno al 475, dopo aver massacrato le guarnigioni romane. I quali Romani avevano conquistato la Spagna nel 17 a.C., massacrando le popolazioni indigene, gli Iberi. E chissà chi avevano massacrato gli Iberi, quando si erano sparsi lungo le valli del Manzanarre e dell’Ebro. Insomma, a voler fare i conti, i Romani hanno governato la penisola per 492 anni; i Visigoti per 228 anni; gli Arabi per 772 anni; i re di Castiglia per 531 anni. Dunque, vincono gli Arabi. Certo, si potrebbero contare gli anni diversamente, visto che anche i Visigoti, e i Romani per un periodo, furono cristiani, ribaltando la classifica.
Ma la domanda vera è se tutti questi calcoli abbiano senso. Non molto, forse – e la domanda resta aperta: a chi appartiene allora la Spagna? E l’Italia, che ha una storia non meno ricca e complicata? Intanto il pensiero corre a uno dei più grandi teologi della storia, Agostino: «Se manca la giustizia, che altro sono i regni se non bande di ladroni?».
Agostino aveva scritto questa frase ne La città di Dio ,inun momento di crisi assoluta dopo che, per la prima volta dopo secoli, Roma era stata saccheggiata (dai Visigoti). Era il 410, e tutti ne erano rimasti sconvolti. La città eterna che veniva data alle fiamme: non era questa la prova che la fine dei tempi stava arrivando? I pagani avevano subito accusato i cristiani, per aver scacciato gli antichi dei protettori dai loro sacri templi. I cristiani incolpavano invece i pagani e la loro vita dissoluta; per questo Dio era intervenuto. Agostino si erge al di sopra di questo patetico scambio di accuse, elaborando una grandiosa teologia della storia, d’ispirazione cristiana: distingue tra due città, quella terrena e quella celeste, intrecciate ma distinte; riconosce i meriti storici dell’Impero romano (che unificando il mondo allora conosciuto aveva permesso la diffusione del messaggio cristiano); ma allo stesso tempo ribadisce che quello che conta davvero è la città divina, quella veramente giusta. Ed è ovviamente di questa che dobbiamo farci cittadini.
Lasciando da parte la teologia, l’intuizione è interessante – non è il potere che dovrebbe determinare il mio senso di appartenenza, ma la giustizia. È di una comunità che vive nel rispetto della giustizia, e non della semplice sopraffazione o della difesa del proprio spazio e del proprio interesse, che è bello definirsi cittadini. È per questa idea di Italia che sarebbe bello impegnarsi, invece di continuare a rivendicarne un possesso, che ricorda quello dell’osteria in cui chi prima arriva meglio alloggia.
IL TEOLOGO CRISTIANO INTUÌ CHE NON PUÒ ESSERE IL POTERE O LA SOPRAFFAZIONE A DETERMINARE IL SENSO DI APPARTENENZA