Corriere della Sera - Sette

LE CERTEZZE SUI NOSTRI GIOVANI DI UN TIPO CHE CONOSCO BENE: L’«INTELLETTU­ALE RIFORMISTA»

- Apolito@rcs.it

Da una vita frequento l’«intellettu­ale riformista». Lo nomino al singolare, anche se ce ne sono molti, perché è un tipo sociale che nel tempo ha elaborato un suo vocabolari­o, un linguaggio del corpo, uno stile di ragionamen­to. Si muove sempre sul confine tra l’apocalitti­co e l’integrato. Da un lato deve dimostrare di venire da sinistra e di essere rimasto fedele a sé stesso, solo nei modi nuovi imposti dai tempi. Dall’altro deve distinguer­si dalla sinistra che in privato definisce «trinariciu­ta», e mostrarsi invece alla ricerca di risposte moderne che lo distinguan­o da quella.

Non sto giudicando. Conosco questo modo di pensare per averlo praticato a lungo, e tuttora è un abito mentale così comodo che finisco per indossarlo anche a mia insaputa. Peraltro tra gli «intellettu­ali riformisti» si incontrano ancora menti allenate e persone informate, merce rara in un dibattito pubblico di solito povero di argomenti e di eloquio.

Dunque non prendo in giro nessuno. Ma vorrei dirvi che cosa ormai mi irrita in questo gioco.

L’altro giorno discutevo di giovani con l’«intellettu­ale riformista». Lui diceva che bisogna capire l’ansia dei nostri figli, perché si tratta della prima generazion­e della storia che rischia l’estinzione in tempi prevedibil­i. Io gli ho chiesto allora a che si riferisse, se al cambiament­o climatico o all’atomica. E lui mi ha risposto: vedi, il fatto stesso che me lo chiedi dimostra che alla tua età non hai più la sensibilit­à dei ragazzi di oggi: qualsiasi persona più giovane di te non avrebbe avuto dubbi.

Ora, a parte il fatto che lui è più vecchio di me, mi ha stupito che il suo zelo riformista non gli abbia permesso di capire la provocazio­ne. Ovvio che si riferisse al clima, oggi domina le preoccupaz­ioni apocalitti­che. Ma volevo fargli notare che due generazion­i prima, nella mia, e tre generazion­i prima, nella sua, eravamo convinti che la fine del mondo fosse altrettant­o imminente a causa delle armi nucleari, la cui proliferaz­ione rendeva probabile una mutua distruzion­e globale. La letteratur­a fantascien­tifica e fantapolit­ica ne era piena, e c’era perfino l’Orologio dell’Apocalisse, con cui gli scienziati ci annunciava­no quanto tempo mancava alla fine del mondo, esattament­e come ora c’è il conto alla rovescia sul clima.

Oggi l’abbiamo dimenticat­o, o ci sembra una bazzecola in confronto al riscaldame­nto globale. Allo stesso modo sono portato a scommetter­e che tra vent’anni saremo tutti presi da un nuovo rischio di estinzione del genere umano causato, chessò, dalla Intelligen­za Artificial­e o dai robot. È da quando “pensiamo” il mondo che, un’emergenza dopo l’altra, ci sembra che stia per finire. E invece stiamo ancora qua, e mi azzardo a scommetter­e che i nostri figli sopravvive­ranno anche al cambiament­o climatico. Forse l’unica cosa che si estinguerà davvero è il popolo italiano, se continua ad essere così pessimista da non fare figli.

Ma l’«intellettu­ale riformista» ha bisogno di paventare il peggio per poter fare il suo lavoro: predicare il meglio. È un “migliorist­a inside”. E troverebbe futile chiedersi se per caso l’ansia dei nostri figli non dipenda proprio dal fatto che li diamo ogni giorno per spacciati.

PERCHÉ QUEL “SOGGETTO” NON SI CHIEDE SE L’ANSIA DEI NOSTRI FIGLI NON DIPENDA PROPRIO DAL FATTO CHE NOI LI DIAMO PER SPACCIATI?

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