LE CERTEZZE SUI NOSTRI GIOVANI DI UN TIPO CHE CONOSCO BENE: L’«INTELLETTUALE RIFORMISTA»
Da una vita frequento l’«intellettuale riformista». Lo nomino al singolare, anche se ce ne sono molti, perché è un tipo sociale che nel tempo ha elaborato un suo vocabolario, un linguaggio del corpo, uno stile di ragionamento. Si muove sempre sul confine tra l’apocalittico e l’integrato. Da un lato deve dimostrare di venire da sinistra e di essere rimasto fedele a sé stesso, solo nei modi nuovi imposti dai tempi. Dall’altro deve distinguersi dalla sinistra che in privato definisce «trinariciuta», e mostrarsi invece alla ricerca di risposte moderne che lo distinguano da quella.
Non sto giudicando. Conosco questo modo di pensare per averlo praticato a lungo, e tuttora è un abito mentale così comodo che finisco per indossarlo anche a mia insaputa. Peraltro tra gli «intellettuali riformisti» si incontrano ancora menti allenate e persone informate, merce rara in un dibattito pubblico di solito povero di argomenti e di eloquio.
Dunque non prendo in giro nessuno. Ma vorrei dirvi che cosa ormai mi irrita in questo gioco.
L’altro giorno discutevo di giovani con l’«intellettuale riformista». Lui diceva che bisogna capire l’ansia dei nostri figli, perché si tratta della prima generazione della storia che rischia l’estinzione in tempi prevedibili. Io gli ho chiesto allora a che si riferisse, se al cambiamento climatico o all’atomica. E lui mi ha risposto: vedi, il fatto stesso che me lo chiedi dimostra che alla tua età non hai più la sensibilità dei ragazzi di oggi: qualsiasi persona più giovane di te non avrebbe avuto dubbi.
Ora, a parte il fatto che lui è più vecchio di me, mi ha stupito che il suo zelo riformista non gli abbia permesso di capire la provocazione. Ovvio che si riferisse al clima, oggi domina le preoccupazioni apocalittiche. Ma volevo fargli notare che due generazioni prima, nella mia, e tre generazioni prima, nella sua, eravamo convinti che la fine del mondo fosse altrettanto imminente a causa delle armi nucleari, la cui proliferazione rendeva probabile una mutua distruzione globale. La letteratura fantascientifica e fantapolitica ne era piena, e c’era perfino l’Orologio dell’Apocalisse, con cui gli scienziati ci annunciavano quanto tempo mancava alla fine del mondo, esattamente come ora c’è il conto alla rovescia sul clima.
Oggi l’abbiamo dimenticato, o ci sembra una bazzecola in confronto al riscaldamento globale. Allo stesso modo sono portato a scommettere che tra vent’anni saremo tutti presi da un nuovo rischio di estinzione del genere umano causato, chessò, dalla Intelligenza Artificiale o dai robot. È da quando “pensiamo” il mondo che, un’emergenza dopo l’altra, ci sembra che stia per finire. E invece stiamo ancora qua, e mi azzardo a scommettere che i nostri figli sopravviveranno anche al cambiamento climatico. Forse l’unica cosa che si estinguerà davvero è il popolo italiano, se continua ad essere così pessimista da non fare figli.
Ma l’«intellettuale riformista» ha bisogno di paventare il peggio per poter fare il suo lavoro: predicare il meglio. È un “migliorista inside”. E troverebbe futile chiedersi se per caso l’ansia dei nostri figli non dipenda proprio dal fatto che li diamo ogni giorno per spacciati.
PERCHÉ QUEL “SOGGETTO” NON SI CHIEDE SE L’ANSIA DEI NOSTRI FIGLI NON DIPENDA PROPRIO DAL FATTO CHE NOI LI DIAMO PER SPACCIATI?