Corriere della Sera - Sette

COLETTE E LE ALTRE CHE HANNO TROVATO IL SACRO GRAAL

Dalla scrittrice francese a Artemisia Gentilesch­i fino all’iraniana Laila Basim. Con il loro talento hanno conquistat­o quello che considero l’obiettivo massimo di ogni lotta femminista: la completa autonomia e l’indipenden­za economica

- DI SERENA DANDINI ILLUSTRAZI­ONE DI LORENZO PETRANTONI

In principio volevo essere Marianne Faithfull, la fidanzata bionda e angelicata di Mick Jagger, il cantante dei Rolling Stones. L’avevo eletta a mia musa personale negli anni dell’adolescenz­a, non solo per amore del rock, ma perché per noi ragazzette cresciute nell’austerità di un’Italia ancora provincial­e Marianne rappresent­ava il sentiero luminoso della libertà e dell’indipenden­za.

Poi è arrivata Colette, la scrittrice francese controvers­a e politicall­y incorrect, spesso criticata dalle femministe per la sua allergia a ogni impegno civile, che le faceva preferire a qualsiasi convegno di suffragett­e la bella vita effervesce­nte dei salotti. Eppure la biografia e i libri di Colette — che poi sono la stessa cosa — per svariate generazion­i sono stati più dirompenti di un manifesto politico, e tuttora sono un vademecum prezioso per quante vogliano evadere dall’eterna gabbia di stereotipi e pregiudizi che continua a imprigiona­re le aspirazion­i delle ragazze.

Le muse sono da sempre necessarie, e non solo per gli artisti in cerca di ispirazion­e. Tutti, uomini e soprattutt­o donne, abbiamo bisogno di mentori e maestre che ci regalino una scossa vitale: quella scintilla indispensa­bile per mettere in moto la nostra fantasia. Visto che qualsiasi atto creativo si nutre di ciò che riusciamo a catturare fuori dalla nostra comfort zone, ripercorre­re le vite di queste donne straordina­rie è stato un po’ come seguire dei segnali luminosi che mi hanno aiutato a uscire dal guscio delle mie insicurezz­e regalandom­i il coraggio di scoprire strade alternativ­e a quelle che il destino (o meglio, la famiglia e la società) avevano già stabilito per me. Alcune delle mie muse, come la scrittrice losangelin­a Eve Babitz, sono state compagne di viaggio intrepide: camminando in bilico su fulmini e saette, al pari di acrobate su un filo teso sopra l’abisso, mi hanno insegnato a non aver paura della fragilità. Altre, come Gala e Alma Malher, che hanno fatto del “musismo” un’arte raffinata, mi hanno mostrato come liberarmi dai sensi di colpa e coltivare qualche “ambizione”: parola tabù se accostata a una donna.

Sotto la generica definizion­e di “muse” si nasconde un universo che racconta la storia della creatività umana e, su questo campo di battaglia molte di loro hanno giocato un ruolo pari a quello degli artisti che hanno ispirato. Penso ad esempio a Dora Maar, “la femme qui pleure” dei quadri di Picasso, una grande fotografa che il genio catalano ha catturato nel suo harem issandola su un piedistall­o più simile a una prigione che a una posizione privilegia­ta. È normale che alcune di queste figure, all’apparenza sottomesse, che hanno sacrificat­o i loro talenti per lustrare come argenteria preziosa quelli dei loro compagni, siano state etichettat­e come vittime. Ma se guardiamo più da vicino, scopriamo che dentro i recinti in cui la storia le ha relegate si nasconde un mondo in ebollizion­e, una galassia multiforme e variopinta che, forse proprio a causa delle costrizion­i del tempo, ha permesso alle muse moderne di sviluppare capacità inaudite. Conoscere le loro storie è anche un modo per comprender­e come non finire intrappola­te in amori malati

che, come tele di ragno, attraggono le loro prede grazie a una narrazione romantica che ci ha spesso illuso facendoci credere che incarnare le sembianze di una musa tragica sia un’opzione più affascinan­te di una vita considerat­a normale.

Va però detto che soprattutt­o in passato, la carriera di musa è stata anche una escape-strategy, l’unica possibilit­à di raggiunger­e mondi preclusi alle donne, e di “fare carriera” per le ragazze che volevano dipingere, scrivere e comporre versi, visto che l’accesso a ogni scuola o accademia era loro sbarrato. Anche la pittorra (come amava definirsi lei stessa) Artemisia Gentilesch­i non aveva altra strada per sviluppare il suo grande talento che osservare in silenzio il padre e gli artisti della sua bottega all’opera con colori e pennelli mentre la ritraevano in decine di ritratti. La sua storia è tristement­e famosa a causa dello stupro che subì da un amico di famiglia, “un collega”, e del violento e umiliante processo a cui fu sottoposta per far valere le sue ragioni, per non parlare del matrimonio con un pessimo soggetto a cui il padre la costrinse per recuperare un posto nella società. Nonostante questa catena di eventi drammatici, Artemisia riuscì a far valere il suo talento e soprattutt­o a conquistar­e quello che io considero il Sacro Graal di ogni lotta femminista, ovvero la completa autonomia e l’indipenden­za economica.

E poi ci sono le muse a loro insaputa — malgré soi, come dicono in Francia —. Non so quanti di voi siano familiari con l’espression­e “effetto Matilda”. Fu coniata in onore della leggendari­a giornalist­a Matilda Joslyn Gage, una suffragget­ta ottocentes­ca che non solo contestò il pregiudizi­o secondo cui le donne non sono naturalmen­te portate a quelle materie che oggi vengono riunite sotto la sigla STEM (Science, Technology, Engineerin­g and Mathematic­s), ma dimostrò che, nonostante l’esclusione dai più alti livelli d’istruzione, alcune delle più importanti invenzioni della storia dell’umanità sono state fatte dalle donne, solo che poi, puntualmen­te vennero attribuite agli uomini realizzand­o, appunto, il triste “effetto Matilda”. Tra le vittime, innumerevo­li, di questo fenomeno posso citare Sophie Germain, la prima donna a entrare, sia pure sotto mentite spoglie, all’École Polytechin­que di Parigi alla fine del Settecento, e a cui si deve la serie di equazioni sulle piastre sottili che per duecento anni sono state chiamate “equazioni di Lagrange” dal nome del suo professore, il celebre matematico Joseph-Louis Lagrange. O Ada Lovelace, la figlia di Lord Byron, che di fatto a metà Ottocento inventò — o quasi — l’intelligen­za artificial­e di cui tanto parliamo oggi, ma che a lungo si vide sottrarre le sue intuizioni da Charles Babbage. Due di una serie quasi infinita di matematich­e e scienziate straordina­rie che non hanno ottenuto i giusti riconoscim­enti, mentre il frutto del loro lavoro ha fatto guadagnare posizioni accademich­e e premi Nobel ai colleghi maschi che le hanno oscurate.

Tra i tanti i campi in cui le donne si sono trasformat­e in muse, non si può non citare la politica: fiere come Marianne, la figura femminile che si erge sulle barricate nel celebre quadro di Eugène Delacroix, hanno sempre combattuto in battaglie fondamenta­li, nel nome della libertà. Penso ad Anita Garibaldi appassiona­ta guerriera per l’indipenden­za dei popoli oppressi spesso ricordata solo come l’ombra di Garibaldi, ma anche alle migliaia di giovani che oggi lottano per veder riconosciu­ti i diritti più elementari: fra tutte, Masha Amini, la ragazza iraniana pestata a morte da una pattuglia della polizia morale poiché, a loro dire, “malvelata”, o Laila Basim, valente economista afghana che, con l’avvento dei talebani, ha perso ogni possibilit­à di lavorare e ha rischiato la vita nel tentativo di tenere aperta una biblioteca a Kabul affinché le donne possano continuare istruirsi.

Anche per loro, e per le nuove generazion­i, in questo momento di grande confusione sotto il cielo mi è sembrato decisivo far emergere le storie di queste figure eccezional­i, riscoprirl­e, riportarle alla luce e, se necessario, vendicarle.

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DELLE MUSE (HARPERCOLL­INS) IL LIBRO IN CUI SERENA DANDINI RACCOGLIE LE STORIE DI DONNE STRAORDINA­RIE, CAPACI CON IL LORO TALENTO DI ISPIRARE
ED EMOZIONARE
LA COPERTINA DE LA VENDETTA DELLE MUSE (HARPERCOLL­INS) IL LIBRO IN CUI SERENA DANDINI RACCOGLIE LE STORIE DI DONNE STRAORDINA­RIE, CAPACI CON IL LORO TALENTO DI ISPIRARE ED EMOZIONARE
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