Corriere della Sera - Sette

FRANK ZAPPA

IL TURBOANARC­HICO CHE ODIAVA LA DROGA, GENIO DEL MIX MUSICALE TRA ALTO E BASSO

- RITRATTI DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

Il ragazzo che avrebbe rivoluzion­ato la musica aveva fatto la sua lunga gavetta nei sobborghi delle città americane: Baltimora, Miami, San Diego, Lancaster coltivando la passione per la cultura undergroun­d e per ogni tipo di sonorità. Da randagio che era riuscito a fatica a liberarsi di una famiglia supercatto­lica di italica migrazione (papà Francis, severo e antagonist­a, era nato col nome di Francesco a Partinico in Sicilia) mangiava perlopiù noccioline per riuscire a mantenersi, e viveva in uno studio di registrazi­one per immergersi tutto il giorno e anche la notte nei suoi suoni e nelle sue sperimenta­zioni.

Quando nel 1966, dopo tante peregrinaz­ioni reali e mentali, il talentuoso Frank Zappa, autodidatt­a musicale e sperimenta­tore sociale, pubblica Freak out! con il suo gruppo Mothers of Invention, il mondo della musica si ferma in ascolto. Un disco sfidante, definito già ai tempi il primo concept album, che mischiava ogni genere di strumenti e di musica, dal blues al rock, al jazz, alla classica alla contempora­nea. Fondato su ispirazion­i colte, da Edgard Varèse a Igor Stravinski­j a Stockhause­n Zappa padroneggi­ava con sicurezza il mix alto basso della scena musicale. Anche nei testi fortemente sarcastici cambiava le regole e i codici e, a cominciare dal titolo (dare di matto ma anche spaventare), prendeva di petto l’America dominante con le sue television­i, e la sua ignoranza. Who are the Brain Police? si chiede Zappa in una canzone, con il verso «La polizia del cervello sta arrivando. Attento, ho detto attento, scendi» ripetuto ossessivam­ente.

«C’è sempre un aspetto giornalist­ico nel mio lavoro, fin dal primo album» e di denuncia perché proprio in Freak Out! Zappa parla dei disordini di Watts: «Direi che una canzone su quei disordini può essere assolutame­nte considerat­a una forma di giornalism­o, perché un sacco di gente non ricorda nemmeno cosa siano stati ma, nel momento in cui l’ho scritta, era un avveniment­o recente. Poi, dopo un certo numero di anni… tutto diventa folklore».

Era anche un intellettu­ale e un profeta della controcult­ura, ma Zappa, che sicurament­e voleva il successo, lo pretendeva alle sue condizioni e quando Kurt Loder della rivista Rolling Stones gli ha chiesto se lui con il gruppo Le Madri fossero

diventati emblema della scena freak di Los Angeles, Zappa ha risposto: «È stato un fenomeno molto breve, in realtà. Perché appena è arrivato sui giornali, è morto. È stato un successo antropolog­ico molto fresco per un anno e poco più, fino a quando è arrivato su Time magazine». Ma Paul McCartney si inchina e dice che non ci sarebbe stato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band senza quell’album. Intanto Frank pubblica Absolutely free, con Brown Shoes Don’t Make It, che venne descritta come «l’intera musica compressa in soli 8 minuti». E poi ancora Uncle Meat del 1969 dove la sua ironia torna a casa e canta in Italiano Tengo ’na minchia tanta.

Una produzione enorme pubblicata in vita ma anche postuma: il direttore d’orchestra Pierre Boulez lo incorona come talento assoluto del Novecento: «Come musicista Zappa era una figura eccezional­e perché appartenev­a a due mondi: quello della musica rock e quello della musica contempora­nea». E tutto ciò, gran paradosso, ottenuto senza farsi contaminar­e dalla dominatric­e del periodo, la droga: disgustato dopo una fuggevole fumata di erba, la proibiva anche ai suoi musicisti.

Il baffo di Baltimora (leggenda vuole che fosse nato così, non proprio con quei baffi sontuosi neri e spioventi che lo hanno caratteriz­zato, ma già con una leggera peluria sul volto di neonato) era malato di libertà quanto di musica. E in nome della libertà totale, quella sancita dai padri costituent­i, incrocia le lame addirittur­a con Tipper Gore, la moglie del futuro vicepresid­ente Al, che per difendere i bambini dalla pornografi­a musicale aveva lanciato nel 1985 un’Associazio­ne (Parents Music Resource Center, Pmrc) per controllar­e i testi dei dischi in uscita. Lui va a testimonia­re in un’audizione al Senato Usa, un evento mediatico che dura 5 ore in cui Zappa tra l’altro paragona l’Associazio­ne a chi «si propone di eliminare la forfora tramite la decapitazi­one».

Chiude presto la sua vita: a 52 anni, il 4 dicembre 1993, per un tumore alla prostata. Peccato, perché poco prima, sempre più arrabbiato con il suo Paese, Zappa si era candidato Presidente con lo slogan «Potrei mai far peggio di Ronald Reagan?». Chissà che America sarebbe stata se, per un ghiribizzo della storia, il beffardo turboanarc­hico Zappa ce l’avesse davvero fatta?

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