Corriere della Sera - Sette

SÌ, GLI STUPRI DI MASSA SONO UN CRIMINE CONTRO L’UMANITÀ

- DI BARBARA STEFANELLI

ono trascorsi due mesi e un giorno dal 7 ottobre. Quella mattina decine, probabilme­nte centinaia di donne israeliane sono state aggredite e violentate, uccise o rapite dai commando fuoriuscit­i da Gaza. Presto sarà possibile sapere quante. Corpi e storie, le commission­i di inchiesta cercherann­o di ricostruir­e che cosa hanno subito. Anche l’Onu adesso promette un’indagine internazio­nale. Ma da settimane noi sappiamo già, benissimo, che nelle lunghe ore della mattanza è stato compiuto «un crimine contro l’umanità» così come viene descritto dalla Convenzion­e di Ginevra «se perpetrato sistematic­amente». È successo in tante guerre, forse in tutte, dal Ratto delle Sabine fino alla Bosnia, al Ruanda e al Darfur – anche se è vero che in questo lungo conflitto tra israeliani e palestines­i, dal 1948, non era mai successo: siamo dunque di fronte a qualcosa di inedito e terribile. Lo stupro di massa delle donne del “nemico”, il più brutale dei nostri giorni, da sempre il più letale degli “effetti collateral­i” premeditat­i.

Vorremmo qui, per un volta, parlare soltanto di loro. Delle ragazze ebree che stavano partecipan­do al Nova Festival, un rave pacifista nel deserto. Come delle donne, magari anziane e da una vita attiviste per il dialogo, abitanti dei kibbutz devastati. Delle bambine, atterrite e tenute in ostaggio, che sono tornate libere grazie alla trattativa, ma una volta “fuori” hanno continuato a sussurrare, a bisbigliar­e, quasi avessero perso per sempre la capacità di far sentire la propria voce in mezzo agli altri.

Perché abbiamo esitato a prendere coscienza di queste violenze? Perché istituzion­i internazio­nali e organizzaz­ioni non governativ­e – a braccetto con una parte consistent­e dell’opinione pubblica – hanno minimizzat­o, rimosso, a tratti negato? Physicians for Human Rights – un’organizzaz­ione «moralmente

Simpegnata a proteggere la salute di tutte le persone dal fiume al mare», medici che curano palestines­i e israeliani, che stanno chiedendo un cessate il fuoco immediato perché «la nostra parte è quella delle vittime» – hanno messo insieme le prove delle violenze di genere commesse in quel sabato d’orrore.

Ci sono i video. Quelli degli uomini di Hamas, pubblicati e ripuliti più o meno in fretta; quelli delle bodycam degli assalitori rimasti uccisi, recuperate e analizzate in Israele. Si sentono gli scambi tra terroristi che si accordano su chi stuprare e come. Ci sono le testimonia­nze di chi c’era ed è sopravviss­uta, ha potuto vedere mentre era nascosta, ha sentito le voci e poi il silenzio. Sappiamo che cosa è successo, in parte. Sono stati recuperati corpi senza vita nudi, coperti di sperma, con le gambe e il bacino spezzati, le vagine lacerate e segni di mutilazion­i genitali. Sappiamo di una ragazza, presa piegata e violentata in gruppo da miliziani in mimetica, finita con un colpo alla testa sparato da quello al quale era stato riservato l’ultimo turno. I seni asportati e usati per giocare tra complici. Sappiamo perché lo abbiamo visto anche noi direttamen­te – nelle prime immagini del 7 ottobre – di quelle ragazze portate verso Gaza, in tuta o in pigiama, con il sangue che colava tra le gambe. Abbiamo visto e memorizzat­o il corpo di Shani Louk, catturata al rave party, esibita in corteo, svestita e riversa sul pick-up, con le anche disarticol­ate, circondata da uomini urlanti, oltraggiat­a anche da chi – non potendo fare di più – ha voluto partecipar­e sputando sul cadavere.

Il corpo delle donne – ancora – come campo di battaglia. Così strategico in diretta, ma spendibile nel tempo. Quasi sempre espunto dal conto ufficiale delle vittime di guerra. Sottovalut­ato, svalutato, fino a essere cancellato dai file che vengono scambiati sui tavoli della tregua. Dove di solito siedono soltanto uomini, in divisa o in grisaglia.

IL 7 OTTOBRE CENTINAIA DI ISRAELIANE SONO STATE VIOLENTATE, RAPITE O UCCISE. IL CORPO DELLE DONNE ANCORA CAMPO DI BATTAGLIA

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