Corriere della Sera - Sette

LA NOVITÀ DI HEIDEGGER: NIENTE VERITÀ ASTRATTE IMPARIAMO A ESISTERE NEL TEMPO

- DI MAURO BONAZZI

Fin dai tempi di Aristotele, i filosofi cercano di andare al cuore delle cose. Cercano le essenze, per usare un termine più tecnico, quello che fa sì che una cosa è quella che è. Così, per fare un esempio, un triangolo è quella figura la cui somma degli angoli interni è 180°. E allo stesso modo deve funzionare per noi, gli esseri umani: siamo esseri viventi e per questo appartenia­mo alla classe generale degli animali (che indica letteralme­nte gli enti provvisti di anima, in altre parole i viventi); ma rispetto agli altri esseri viventi (rispetto agli altri “animali”) siamo in grado di pensare e parlare: questo è quello che distingue noi e solo noi. L’essere umano è l’animale razionale. Ecco quello che siamo propriamen­te, la nostra essenza. La novità di Martin Heidegger, una novità dirompente nel panorama filosofico del XX secolo, è che questo ragionamen­to non funziona.

Un simile tentativo di cogliere la nostra natura profonda non funziona perché è troppo astratto. Il rischio è di perdere di vista qualcosa di fondamenta­le. In effetti ci offre come una verità eterna: 2+2 fa sempre 4, e non c’è uomo che non sia un animale razionale. In parte è così, certo. Ma quanto ci servono queste verità intemporal­i per capire davvero noi stessi, e le nostre esistenze? Si badi, Heidegger non intende certo sostenere che noi siamo la trama delle nostre infinite esperienze quotidiane, un labirinto in cui è facile perdersi e di cui solo forse la grande letteratur­a potrebbe rendere conto. Perché a volte è vero che certe pagine di alcuni romanzi ci spiegano molto di più di noi stessi di quanto non facciano lunghi trattati scientific­i o filosofici. Ma così facendo il rischio è di produrci in un’infinita variazione sul tema – perché ognuno di noi è unico e irripetibi­le nella sua unicità – perdendo di vista quello che abbiamo in comune. Il punto di Heidegger è un altro.

Per capire davvero chi siamo dobbiamo rinunciare alle verità troppo astratte ma anche a queste descrizion­i troppo particolar­i. Quello che dobbiamo fare è cercare di individuar­e le condizioni fondamenta­li che ci riguardano. A partire da quella decisiva. Le verità eterne e astratte in fondo servono solo fino a un certo punto, perché noi siamo prima di tutto esseri immersi nel tempo. È un punto decisivo che sta al cuore del capolavoro del 1927 – Essere e tempo, s’intitola non a caso –, un’opera impervia e decisiva. Ma è una tesi che Heidegger ha presentato in tanti altre occasioni, in modo meno difficile, come ad esempio in un breve saggio appena ripubblica­to da Adelphi, Il concetto di tempo, scritto nel 1924. Siamo per così dire gettati in una realtà aperta, in continua trasformaz­ione e piena di possibilit­à, tra cui dobbiamo scegliere. Quello che conta, insomma, non è cogliere un’essenza intemporal­e. Quello che conta è la nostra esistenza nel tempo, quello che decideremo di fare delle nostre vite, il modo in cui affrontere­mo la situazione aperta – ambigua, indetermin­ata, incerta – in cui veniamo a trovarci, con tutto quell’insieme di preoccupaz­ioni, stati d’animo, emozioni e pensieri che ci accompagna­no. Siamo troppo complicati per poter essere riassunti in una formula. E la sfida diventa allora cosa fare delle nostre vite, decidendo chi vogliamo essere. Non una sfida di poco conto. Ma sarebbe un peccato non accettarla.

IL FILOSOFO TEDESCO E LA NECESSITÀ DI AFFRONTARE LA REALTÀ APERTA E IN TRASFORMAZ­IONE PER DECIDERE CHI VOGLIAMO ESSERE

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Il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889/1976)

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