LA NOVITÀ DI HEIDEGGER: NIENTE VERITÀ ASTRATTE IMPARIAMO A ESISTERE NEL TEMPO
Fin dai tempi di Aristotele, i filosofi cercano di andare al cuore delle cose. Cercano le essenze, per usare un termine più tecnico, quello che fa sì che una cosa è quella che è. Così, per fare un esempio, un triangolo è quella figura la cui somma degli angoli interni è 180°. E allo stesso modo deve funzionare per noi, gli esseri umani: siamo esseri viventi e per questo apparteniamo alla classe generale degli animali (che indica letteralmente gli enti provvisti di anima, in altre parole i viventi); ma rispetto agli altri esseri viventi (rispetto agli altri “animali”) siamo in grado di pensare e parlare: questo è quello che distingue noi e solo noi. L’essere umano è l’animale razionale. Ecco quello che siamo propriamente, la nostra essenza. La novità di Martin Heidegger, una novità dirompente nel panorama filosofico del XX secolo, è che questo ragionamento non funziona.
Un simile tentativo di cogliere la nostra natura profonda non funziona perché è troppo astratto. Il rischio è di perdere di vista qualcosa di fondamentale. In effetti ci offre come una verità eterna: 2+2 fa sempre 4, e non c’è uomo che non sia un animale razionale. In parte è così, certo. Ma quanto ci servono queste verità intemporali per capire davvero noi stessi, e le nostre esistenze? Si badi, Heidegger non intende certo sostenere che noi siamo la trama delle nostre infinite esperienze quotidiane, un labirinto in cui è facile perdersi e di cui solo forse la grande letteratura potrebbe rendere conto. Perché a volte è vero che certe pagine di alcuni romanzi ci spiegano molto di più di noi stessi di quanto non facciano lunghi trattati scientifici o filosofici. Ma così facendo il rischio è di produrci in un’infinita variazione sul tema – perché ognuno di noi è unico e irripetibile nella sua unicità – perdendo di vista quello che abbiamo in comune. Il punto di Heidegger è un altro.
Per capire davvero chi siamo dobbiamo rinunciare alle verità troppo astratte ma anche a queste descrizioni troppo particolari. Quello che dobbiamo fare è cercare di individuare le condizioni fondamentali che ci riguardano. A partire da quella decisiva. Le verità eterne e astratte in fondo servono solo fino a un certo punto, perché noi siamo prima di tutto esseri immersi nel tempo. È un punto decisivo che sta al cuore del capolavoro del 1927 – Essere e tempo, s’intitola non a caso –, un’opera impervia e decisiva. Ma è una tesi che Heidegger ha presentato in tanti altre occasioni, in modo meno difficile, come ad esempio in un breve saggio appena ripubblicato da Adelphi, Il concetto di tempo, scritto nel 1924. Siamo per così dire gettati in una realtà aperta, in continua trasformazione e piena di possibilità, tra cui dobbiamo scegliere. Quello che conta, insomma, non è cogliere un’essenza intemporale. Quello che conta è la nostra esistenza nel tempo, quello che decideremo di fare delle nostre vite, il modo in cui affronteremo la situazione aperta – ambigua, indeterminata, incerta – in cui veniamo a trovarci, con tutto quell’insieme di preoccupazioni, stati d’animo, emozioni e pensieri che ci accompagnano. Siamo troppo complicati per poter essere riassunti in una formula. E la sfida diventa allora cosa fare delle nostre vite, decidendo chi vogliamo essere. Non una sfida di poco conto. Ma sarebbe un peccato non accettarla.
IL FILOSOFO TEDESCO E LA NECESSITÀ DI AFFRONTARE LA REALTÀ APERTA E IN TRASFORMAZIONE PER DECIDERE CHI VOGLIAMO ESSERE