IL RADUNO DI MATTEO SALVINI È UN DISPETTO POLITICO ALLA PRESIDENTE MELONI
Cara Lilli, con l’adunata sovranista di Firenze, Matteo Salvini si è dimostrato il più pericoloso avversario politico di Meloni. Sono curioso di vedere come si comporteranno i due da qui alla data delle elezioni europee ormai prossima
Fausto Tucci fatucci23@gmail.com
Caro Fausto, con il «raduno nero» di Firenze, Matteo Salvini sembra più muovere un’operazione di disturbo verso Giorgia Meloni che non aprire una vera e sostanziale sfida politica. Siamo tra il dispetto e la battaglia di posizione. Alla Fortezza da Basso, infatti, il vicepremier ha giocato una nuova manche della sua partita di poker, o gioco delle tre carte, ingaggiata con la presidente del Consiglio che comunque tre giorni più tardi ha ribadito che il «centro-destra è coeso ed è evidente». La tattica di Salvini resta rozza, grossolana ma molto chiara: abbracciare tutto il campionario del sovranismo europeo, per buttarsi sempre più a destra e rubare così campo e voti a Fratelli d’Italia. Senza tanti scrupoli se tra quei leader ci sono neo-nazi, ultrà dell’integralismo cattolico, no-vax, filo-Putin e soprattutto euroscettici. È questo l’aspetto più insidioso per Giorgia Meloni, che ha costruito proprio sul piano internazionale il suo profilo di leader, nella doppia cornice della Alleanza atlantica e dell’Unione europea. Perché allora non prende nettamente le distanze da queste posizioni? Ovviamente ribaltandola, Giorgia Meloni sembra seguire quella regola del «nessun nemico a sinistra» che fece forte e popolare il PCI: alla destra di Fratelli d’Italia non ci può essere alcun concorrente reale che apra una competizione sulla purezza identitaria e ideologica, perché anche da lì vengono i voti. Questo spiegherebbe perché Giorgia Meloni non faccia fino in fondo i conti con l’identità politica del suo partito e quindi con le radici neofasciste dell’MSI. Perché non può e soprattutto non vuole. Le prove sono tante a cominciare dalla conservazione della fiamma nel simbolo del suo partito – eredità del Movimento sociale italiano –e le parole balbettanti in occasione dello scorso 25 aprile Festa della liberazione dal nazi-fascismo.
Ma la Meloni, come ama definirsi, «dice sempre quello che pensa, con chiarezza e lealtà». E noi vogliamo crederle. Quindi, se non prende le distanze dalla destra estrema che Salvini ha radunato a Firenze, è perché non vuole. Perché le parole d’ordine del cantiere nero di Firenze sono anche le sue, al di là degli imbarazzi che provocano a Bruxelles. Il dispetto di Salvini è proprio quello di presentarsi come il baluardo delle posizioni che lei stessa proclamava prima di indossare i panni da presidente del Consiglio. Le posizioni che poi, nel grande “Bar Italia”, per dirla con Bersani, diventano quelle sguaiate e fuori controllo del generale Vannacci, fresco Capo di Stato Maggiore delle Forze Operative Terrestri. Che con la scusa di attaccare il «politicamente corretto» non fa altro che dare sfogo a un brodo culturale ben alimentato da chi è oggi al potere. Perché chi ama la retorica dell’uomo forte al comando, poi ha sempre bisogno di una bella caserma plaudente.
LA TATTICA DEL LEADER LEGHISTA È ROZZA, GROSSOLANA, MA CHIARA: PRENDERSI A DESTRA IL CAMPO SOVRANISTA