IL PETROLIO (CHE SERVE ANCORA) E IL RUOLO ANTI-IRAN
Abbiamo bisogno di Riad anche per accelerare sulle rinnovabili e sulle tecnologie per desalinizzare. I diritti? Qualche passo c’è
Perché abbiamo bisogno dell’Arabia saudita? Per tante ragioni. Comincerò dalle più evidenti, per poi aggiungervi quelle meno note. Il petrolio, naturalmente. Ne consumeremo ancora a lungo, anche se dobbiamo diminuire la nostra dipendenza per mitigare il cambiamento climatico. Un abbandono drastico e brutale delle energie fossili è impossibile per tante ragioni. Eolico e solare hanno limiti enormi (intermittenza e imprevedibilità) fino a quando il progresso tecnologico non ci darà super-batterie con potenza di immagazzinaggio oggi fuori dalla nostra portata. Il nucleare ce lo vogliamo precludere noi, almeno in Italia. Poi c’è tutto il versante dell’agricoltura: può sfamare otto miliardi di persone solo perché fa uso di fertilizzanti sintetici derivati dalle energie fossili. È questa una delle tante ragioni per cui i Paesi poveri respingono l’ambientalismo radical-chic degli estremisti invasati d’Occidente, mentre preferiscono l’approccio pragmatico del principe Mohammed bin Salman (MbS).
GIOCHI POLITICI
Il petrolio saudita è essenziale se vogliamo cercare di ridimensionare il ruolo di altri due fornitori ostili all’Occidente: Russia e Iran. In questo senso la produzione di Riad può esercitare – se Mbs lo vuole – un effetto di calmiere sui prezzi. Ne sa qualcosa Joe Biden. Anche se l’America è autosufficente dal punto di vista energetico, i suoi prezzi interni sono determinati dalle dinamiche di mercato. Se scarseggia l’offerta saudita nel resto del mondo, prima o poi sale il prezzo alla pompa anche negli Stati Uniti, questo rilancia l’inflazione, alimenta il malcontento degli elettori… e può riportare alla Casa Bianca il presidente più filo-saudita di tutti i tempi, Donald Trump.
Può sorprendere un osservatore distante, ma noi abbiamo bisogno di Riad anche per accelerare la transizione verso le rinnovabili. La potenza finanziaria del Golfo già oggi investe molto nel solare, nell’idrogeno, ed è all’avanguardia mondiale nella desalinizzazione dell’acqua: una tecnologia che darà risposte vitali alle aree del mondo più colpite dalla siccità.
L’Arabia saudita è essenziale per far decollare lo sviluppo dell’Africa. A cominciare da due paesi vicini e islamici – Egitto e Sudan – i capitali di Riad
già oggi esercitano un effetto stabilizzatore, nella misura del possibile. Anziché descrivere l’Africa come un’Apocalisse e un buco nero di tragedie, gli arabi vi vedono opportunità che a noi occidentali sfuggono.
Una questione ci tocca ancor più da vicino: il ruolo dell’Islam nel mondo. L’anno chiave è il 1979. La rivoluzione khomeinista portò al potere gli ayatollah in Iran. Lo stesso anno fu segnato dal più grave attentato terroristico nella storia saudita, una presa di ostaggi nella Grande Moschea della Mecca, luogo sacro per tutti i fedeli musulmani nel mondo intero. Fu una crisi seria. La monarchia saudita temette di fare la stessa fine dello Scià di Persia cioè di essere rovesciata da una rivoluzione fondamentalista. Per salvarsi strinse un patto scellerato con la parte più reazionaria e oscurantista del clero wahabita. L’Arabia precipitò all’indietro nel tempo, per esempio cancellando molti diritti delle donne e dando poteri nuovi alla polizia religiosa. Il riflesso fu tremendo per il mondo intero. Dal 1979 in poi, arricchiti a dismisura dagli choc petroliferi e da un gigantesco trasferimento di denaro da Nord a Sud, l’Iran sciita e l’Arabia sunnita cominciarono una gara perversa a chi conquistava la leadership del fondamentalismo. Capitali arabi andarono a finanziare la costruzione di moschee e madrasse integraliste all’estero. Una di queste, tristemente nota come un focolaio della jihad, è nel cuore della capitale d’Europa, a Bruxelles. Per decenni in quei luoghi si è predicato l’odio verso l’Occidente, il ripudio di tutti i nostri valori. Sono stati spinti verso forme di estremismo e perfino di terrorismo degli immigrati musulmani di seconda generazione. Una scia di sangue si è estesa a tutto il pianeta, con gli attentati dell’11 settembre 2001 in America e tante stragi in Europa, Medio Oriente, fino alle Filippine.
Ma è un capitolo di storia che si sta chiudendo sotto la gestione del principe Mbs. Questo giovane monarca (38 anni) ha imboccato la strada della laicizzazione, ha ridimensionato il ruolo del clero wahabita, ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti sauditi alle forze jihadiste e alle predicazioni antioccidentali. È una svolta di enorme importanza.
All’interno di questa rivoluzione anti-jihad, si collocano le grandi manovre diplomatiche che dopo gli accordi di Abramo (fra Emirati e Tel Aviv) dovevano sfociare nel riconoscimento dello Stato d’Israele da parte di Riad. Sarebbe stata una novità enorme, verso una distensione tra il mondo arabo e Israele. Per il suo ruolo di potenza regionale, energetica e finanziaria, nonché il prestigio religioso che le deriva dall’essere custode dei luoghi santi dell’Islam, l’Arabia riconoscendo Israele avrebbe esercitato un’influenza smisurata su tutto il mondo musulmano. E’ proprio contro questa rivoluzione pacifica che il 7 ottobre con la mattanza di civili ebrei si sono scatenate le forze di Hamas e del suo protettore, l’Iran. Anche se l’Arabia è un’autocrazia, Mbs non può ignorare che il suo popolo sta dalla parte dei palestinesi. La distensione con Israele ha subito una battuta d’arresto forse fatale. Non tutto è perduto. La diplomazia americana sta cercando di salvare quel processo di disgelo. L’Arabia potrebbe esercitare una responsabilità importante nel futuro di Gaza, se l’America risece a coinvolgerla insieme con altri paesi del Medio Oriente a supporto di un nuovo governo nella Striscia.
ALCUNE RIFORME
Molti italiani hanno di Mbs un’immagine negativa legata all’assassinio del giornalista d’opposizione Jamal Khashoggi. L’Arabia resta una monarchia assoluta, un regime autoritario che non ha l’intenzione di trasformarsi in una democrazia. Però sul fronte dei diritti umani – in particolare la condizione della donna – ha fatto progresso sostanziali negli ultimi anni. Nelle università saudite ci sono più ragazze che ragazzi, ormai. I diritti della donna a Riad sono molto più avanzati che in altri Paesi arabi, certamente migliori rispetto alla situazione che vige in Iran, o a Gaza sotto Hamas.