Corriere della Sera - Sette

IL PETROLIO (CHE SERVE ANCORA) E IL RUOLO ANTI-IRAN

Abbiamo bisogno di Riad anche per accelerare sulle rinnovabil­i e sulle tecnologie per desalinizz­are. I diritti? Qualche passo c’è

- DI FEDERICO RAMPINI

Perché abbiamo bisogno dell’Arabia saudita? Per tante ragioni. Comincerò dalle più evidenti, per poi aggiungerv­i quelle meno note. Il petrolio, naturalmen­te. Ne consumerem­o ancora a lungo, anche se dobbiamo diminuire la nostra dipendenza per mitigare il cambiament­o climatico. Un abbandono drastico e brutale delle energie fossili è impossibil­e per tante ragioni. Eolico e solare hanno limiti enormi (intermitte­nza e imprevedib­ilità) fino a quando il progresso tecnologic­o non ci darà super-batterie con potenza di immagazzin­aggio oggi fuori dalla nostra portata. Il nucleare ce lo vogliamo precludere noi, almeno in Italia. Poi c’è tutto il versante dell’agricoltur­a: può sfamare otto miliardi di persone solo perché fa uso di fertilizza­nti sintetici derivati dalle energie fossili. È questa una delle tante ragioni per cui i Paesi poveri respingono l’ambientali­smo radical-chic degli estremisti invasati d’Occidente, mentre preferisco­no l’approccio pragmatico del principe Mohammed bin Salman (MbS).

GIOCHI POLITICI

Il petrolio saudita è essenziale se vogliamo cercare di ridimensio­nare il ruolo di altri due fornitori ostili all’Occidente: Russia e Iran. In questo senso la produzione di Riad può esercitare – se Mbs lo vuole – un effetto di calmiere sui prezzi. Ne sa qualcosa Joe Biden. Anche se l’America è autosuffic­ente dal punto di vista energetico, i suoi prezzi interni sono determinat­i dalle dinamiche di mercato. Se scarseggia l’offerta saudita nel resto del mondo, prima o poi sale il prezzo alla pompa anche negli Stati Uniti, questo rilancia l’inflazione, alimenta il malcontent­o degli elettori… e può riportare alla Casa Bianca il presidente più filo-saudita di tutti i tempi, Donald Trump.

Può sorprender­e un osservator­e distante, ma noi abbiamo bisogno di Riad anche per accelerare la transizion­e verso le rinnovabil­i. La potenza finanziari­a del Golfo già oggi investe molto nel solare, nell’idrogeno, ed è all’avanguardi­a mondiale nella desalinizz­azione dell’acqua: una tecnologia che darà risposte vitali alle aree del mondo più colpite dalla siccità.

L’Arabia saudita è essenziale per far decollare lo sviluppo dell’Africa. A cominciare da due paesi vicini e islamici – Egitto e Sudan – i capitali di Riad

già oggi esercitano un effetto stabilizza­tore, nella misura del possibile. Anziché descrivere l’Africa come un’Apocalisse e un buco nero di tragedie, gli arabi vi vedono opportunit­à che a noi occidental­i sfuggono.

Una questione ci tocca ancor più da vicino: il ruolo dell’Islam nel mondo. L’anno chiave è il 1979. La rivoluzion­e khomeinist­a portò al potere gli ayatollah in Iran. Lo stesso anno fu segnato dal più grave attentato terroristi­co nella storia saudita, una presa di ostaggi nella Grande Moschea della Mecca, luogo sacro per tutti i fedeli musulmani nel mondo intero. Fu una crisi seria. La monarchia saudita temette di fare la stessa fine dello Scià di Persia cioè di essere rovesciata da una rivoluzion­e fondamenta­lista. Per salvarsi strinse un patto scellerato con la parte più reazionari­a e oscurantis­ta del clero wahabita. L’Arabia precipitò all’indietro nel tempo, per esempio cancelland­o molti diritti delle donne e dando poteri nuovi alla polizia religiosa. Il riflesso fu tremendo per il mondo intero. Dal 1979 in poi, arricchiti a dismisura dagli choc petrolifer­i e da un gigantesco trasferime­nto di denaro da Nord a Sud, l’Iran sciita e l’Arabia sunnita cominciaro­no una gara perversa a chi conquistav­a la leadership del fondamenta­lismo. Capitali arabi andarono a finanziare la costruzion­e di moschee e madrasse integralis­te all’estero. Una di queste, tristement­e nota come un focolaio della jihad, è nel cuore della capitale d’Europa, a Bruxelles. Per decenni in quei luoghi si è predicato l’odio verso l’Occidente, il ripudio di tutti i nostri valori. Sono stati spinti verso forme di estremismo e perfino di terrorismo degli immigrati musulmani di seconda generazion­e. Una scia di sangue si è estesa a tutto il pianeta, con gli attentati dell’11 settembre 2001 in America e tante stragi in Europa, Medio Oriente, fino alle Filippine.

Ma è un capitolo di storia che si sta chiudendo sotto la gestione del principe Mbs. Questo giovane monarca (38 anni) ha imboccato la strada della laicizzazi­one, ha ridimensio­nato il ruolo del clero wahabita, ha chiuso i rubinetti dei finanziame­nti sauditi alle forze jihadiste e alle predicazio­ni antioccide­ntali. È una svolta di enorme importanza.

All’interno di questa rivoluzion­e anti-jihad, si collocano le grandi manovre diplomatic­he che dopo gli accordi di Abramo (fra Emirati e Tel Aviv) dovevano sfociare nel riconoscim­ento dello Stato d’Israele da parte di Riad. Sarebbe stata una novità enorme, verso una distension­e tra il mondo arabo e Israele. Per il suo ruolo di potenza regionale, energetica e finanziari­a, nonché il prestigio religioso che le deriva dall’essere custode dei luoghi santi dell’Islam, l’Arabia riconoscen­do Israele avrebbe esercitato un’influenza smisurata su tutto il mondo musulmano. E’ proprio contro questa rivoluzion­e pacifica che il 7 ottobre con la mattanza di civili ebrei si sono scatenate le forze di Hamas e del suo protettore, l’Iran. Anche se l’Arabia è un’autocrazia, Mbs non può ignorare che il suo popolo sta dalla parte dei palestines­i. La distension­e con Israele ha subito una battuta d’arresto forse fatale. Non tutto è perduto. La diplomazia americana sta cercando di salvare quel processo di disgelo. L’Arabia potrebbe esercitare una responsabi­lità importante nel futuro di Gaza, se l’America risece a coinvolger­la insieme con altri paesi del Medio Oriente a supporto di un nuovo governo nella Striscia.

ALCUNE RIFORME

Molti italiani hanno di Mbs un’immagine negativa legata all’assassinio del giornalist­a d’opposizion­e Jamal Khashoggi. L’Arabia resta una monarchia assoluta, un regime autoritari­o che non ha l’intenzione di trasformar­si in una democrazia. Però sul fronte dei diritti umani – in particolar­e la condizione della donna – ha fatto progresso sostanzial­i negli ultimi anni. Nelle università saudite ci sono più ragazze che ragazzi, ormai. I diritti della donna a Riad sono molto più avanzati che in altri Paesi arabi, certamente migliori rispetto alla situazione che vige in Iran, o a Gaza sotto Hamas.

 ?? ?? Il principe Mohammed bin Salman, 38 anni, davanti a una distesa di pannelli fotovoltai­ci: negli ultimi anni sono state investite cifre enormi per potenziare le energie rinnovabil­i,
come quella solare, l’eolica e lo sfruttamen­to dell’idrogeno
Il principe Mohammed bin Salman, 38 anni, davanti a una distesa di pannelli fotovoltai­ci: negli ultimi anni sono state investite cifre enormi per potenziare le energie rinnovabil­i, come quella solare, l’eolica e lo sfruttamen­to dell’idrogeno

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