Corriere della Sera - Sette

IL GIORNALIST­A MASSACRATO IN AMBASCIATA E 20 ANNI IN CELLA AI DISSIDENTI

Chi contesta il sistema finisce subito nel mirino del principe. Che alle accuse risponde «è la legge» in una monarchia assoluta

- DI GUIDO OLIMPIO

Vale per Vladimir Putin, vale per gli ayatollah iraniani, vale per la Siria di Assad, vale per Mohammed bin Salman: non solo è ingiusto ma è anche pericoloso fare concession­i in nome della ragion di Stato.

Gli interessi nazionali vanno tutelati, ampliati, rafforzati. Viviamo in una realtà ad alta concorrenz­a, non è un mondo di fiabe, impensabil­e troncare alla radice i rapporti con regimi o personalit­à sgradite. Tuttavia, devono esserci garanzie, limiti, valvole di sicurezza in un’arena dove non sono poche le ambiguità. E nel caso saudita non possiamo non partire dal 2 ottobre 2018, una data vicina che però sembra ad alcuni lontana.

LA TRAPPOLA

Quel giorno Jamal Khashoggi, giornalist­a saudita, voce del dissenso verso l’attuale leadership ma con sponde nel regno, residente negli Stati Uniti, è attirato con una scusa burocratic­a nel consolato di Istanbul, in Turchia. Deve sistemare i documenti, è il gancio usato dai suoi interlocut­ori. Le telecamere di sicurezza ne tracciano le ultime mosse nella città del Bosforo, registrano il suo ingresso nell’edificio. Jamal non è mai più riapparso, svanito, inghiottit­o da un’operazione segreta.

La ricostruzi­one più accreditat­a racconta di un’aggression­e all’interno della sede diplomatic­a, probabilme­nte un tentativo di narcotizza­rlo per rapirlo. Manovra finita in tragedia. Oppure un’azione che doveva concluders­i con la sua eliminazio­ne. Del suo corpo non resterà traccia, solo voci con versioni brutali dell’epilogo: fatto a pezzi da un medico esperto di autopsie, sepolto da qualche parte, bruciato. Una missione eseguita da un team dei servizi in collaboraz­ione con alcuni uomini della cerchia del principe Mohammed bin Salman. L’ordine era di neutralizz­arlo a conclusion­e di una lunga campagna di minacce, pressioni, moniti affinché l’oppositore tornasse in patria ad affrontare il suo destino. Si è a lungo discusso sul livello di responsabi­lità dei vertici, sono riemersi gli scenari consueti in questi casi di iniziative sfuggite di mano, di esecutori più realisti del re, che si spingono oltre le disposizio­ni e ritengono di non avere limiti. Ma sono distinzion­i investigat­ive che non cambiano la sostanza, non alleggeris­cono le responsabi­lità di chi è in cima alla piramide del potere.

I turchi, infuriati in pubblico, hanno indagato e promesso di far luce, hanno evocato ritorsioni e indossato i panni dei paladini. Sdegno alla fine cosmetico. Furbescame­nte Erdogan il Sultano ha alzato i toni, passato notizie truci sul delitto ai media, però ha trattato sottobanco con il regno. Ha visto l’occasione per ottenere un risarcimen­to organizzan­do un vero bazar sulla salma – introvabil­e – di Khashoggi. Ed ha incassato investimen­ti massicci da parte dei sauditi. Un accordo con la scusa che sarebbe stato il regno a fare giustizia. E, sul piano formale, a Riad lo hanno fatto.

Quasi un anno dopo un tribunale saudita ha condannato alla pena capitale cinque accusati, per altri tre solo lunghe pene detentive, assolto l’ex numero della sicurezza, non toccate figure chiave che hanno partecipat­o all’agguato. In seguito, le sentenze capitali sono state commutate in 20 anni di prigione. Caso chiuso per loro. Un verdetto di comodo, una scorciatoi­a per voltare pagine offrendo una sentenza alla platea globale. Sempre che all’estero avessero grande attenzione per un delitto atroce. Il principe è apparso sorridente al fianco del leader del Cremlino (altrettant­o disteso), ha continuato ad avere contatti a 360 gradi, ha incontrato Joe Biden nel 2022, ha proseguito la sua danza.

I SILENZI

Salman, dopo aver definito il delitto un errore, ha assicurato che tutto sarebbe cambiato in nome dei grandi progetti di riforma del Paese. Piani che prevedono sviluppi in ogni campo e che si rivolgono anche agli investitor­i stranieri. Il seguito del dramma Khashoggi, però, ha raccontato altro. La repression­e mirata nei confronti di chi dissente non è diminuita. Il Washington Post, nell’anniversar­io della morte di Jamal, ha descritto un elenco di episodi con misure severe nei confronti di donne e uomini finiti nel mirino per aver osato contestare il sistema. Non terroristi, militanti armati, sabotatori, bensì individui che hanno espresso semplici opinioni. I giudici hanno usato la mano pesante, alcuni staranno in cella per oltre vent’anni, un altro potrebbe salire sul patibolo. Scarse le reazioni all’estero.

La crisi economica, la necessità di reperire risorse energetich­e, l’esigenza di avere relazioni ad ampio spettro, un quadro globale instabile hanno spinto tutti i governi a tenere conto di alcuni parametri.

È impossibil­e o quasi chiudere completame­nte i canali di contatto con sistemi che violano i principi elementari. Si dice di farlo, poi però affari e necessità portano a chiudere un occhio o entrambi. Se lasci un vuoto sarà un tuo concorrent­e a riempirlo, ingolosito da nuovi contratti trasformat­i in esche sostanzios­e da Riad, consapevol­e di debolezze e desideri. La sua posizione geografica, i pozzi petrolifer­i, le ricchezze me aumentano la forza contrattua­le.

Per questo i sauditi – non sono gli unici – giocano costanteme­nte su più tavoli. La partnershi­p con l’Ovest è solida, acquistano di tutto e di più, sono difesi da nostri apparati. Tuttavia, sono veloci nell’avvicinars­i, per ragioni tattiche e su questioni specifiche, ai rivali dell’Occidente, a cominciare dalla Russia del neo-zar e dai cinesi, certamente indifferen­ti se il regno soffoca il dissenso. Anzi, dimostrano comprensio­ne, distinguo, persino assoluzion­e guadagnand­o spazi di manovra.

Possiamo chiedere a Salman garanzie, prendere per buone quelle che vengono offerte, ma non avremo mai la sicurezza di un impegno solenne. Neppure se accompagna­to da un documento con il sigillo reale o in carta bollata. Sono regimi con meccanismi particolar­i, dove le istituzion­i sono modellate a seconda dei voleri del «sovrano». Proprio Salman, ad una domanda specifica su una condanna durissima nei confronti di un contestato­re, ha risposto in modo semplice: è la nostra legge.

 ?? ?? La scrittrice turca Hatice Cengiz, fidanzata del giornalist­a e dissidente saudita Jamal Khashoggi, accanto a un ritratto di Khashoggi dopo averlo svelato al National Mall di Washington, DC, il 1 ottobre 2021, durante una cerimonia commemorat­iva
per il terzo anniversar­io del suo omicidio.
La scrittrice turca Hatice Cengiz, fidanzata del giornalist­a e dissidente saudita Jamal Khashoggi, accanto a un ritratto di Khashoggi dopo averlo svelato al National Mall di Washington, DC, il 1 ottobre 2021, durante una cerimonia commemorat­iva per il terzo anniversar­io del suo omicidio.

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