È «SOLO UNA BATTUTA»? SE I MEME SUL CORPO DELLE DONNE NON FANNO PIÙ RIDERE
L’ultimo caso ha per protagonista Elodie: il modo in cui esibisce sé stessa durante i concerti è segno di autodeterminazione/consapevolezza o un altro esempio di mercificazione? Le sue foto, con frasi e accostamenti fatti per strappare un sorriso, sono di
Il corpo femminile non dovrebbe destare scandalo. Qualcuno ha detto: non c’era bisogno di spogliarsi. Invece c’è bisogno, siamo libere di esprimerci e usare come vogliamo il corpo». Era inizio ottobre quando la cantante Elodie raccontava la scelta di utilizzare, per la cover del nuovo album Red Light, un ritratto di lei nuda firmato da Milo Manara. Una provocazione: «Voglio essere libera di esprimermi e di giocare. In questo momento storico poi, mi sembrava doveroso sfogarmi». E così l’abbiamo vista sul palco dell’ultimo tour, vestita con minigonne dallo spacco profondo, reggiseni con paillette, e un palo da lap dance. Tanto è bastato perché una pagina Instagram, una di quelle umoristiche che hanno come soggetti preferiti le donne, riprendesse una sua vecchia citazione («Basta con questa mercificazione del corpo femminile, non voglio essere considerata un oggetto») e la affiancasse a una foto di lei durante un’esibizione al palo, con addosso un body e degli stivali alti.
Il post è stato pubblicato il 23 novembre. Il 19 novembre il corpo di Giulia Cecchettin veniva ritrovato senza vita vicino al lago di Barcis in Friuli. Ad ucciderla il suo ex fidanzato, che ai magistrati ha confessato: «Era solo mia, non poteva essere di altri». Superficialmente non si vede un collegamento tra quel meme su Elodie e questo caso di cronaca, ma scavando più a fondo, si trova la stessa matrice – qualcuno la definirà “patriarcale” e qualcuno no, ma la sostanza non cambia – che spinge a considerare la donna un oggetto. Qualcosa che possiamo giudicare, o in ultima fase, possedere. Il giorno prima di quel meme sono usciti i dati Istat relativi ai mesi maggio-luglio 2023 dell’Indagine sugli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza. Tra questi, emerge che un uomo su cinque (il 19,7%) pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire. Lo pensa anche il 14,6% delle donne. Vuol dire, parafrasando e mescolando dati e post, che se una ragazza decidesse di uscire la sera con gli stessi abiti con cui Elodie è salita sul palco, potrebbe venire considerata un oggetto ed essere lei stessa a provocare gli uomini.
Secondo la banca dati interforze in uso delle Forze di Polizia, dal 2013 al 2022, le violenze sessuali sono aumentate del 40%. Quasi il 90% delle donne ha sperimentato questo tipo di situazioni. Un terzo di loro sono minorenni, ma se allarghiamo il raggio alla fascia 0-24 anni, la percentuale supera il 50%.
Ma d’altronde, si legge in decine di commenti
LA CANTANTE: «QUALCUNO HA DETTO: NON C’ERA BISOGNO DI SPOGLIARSI. E INVECE C’È BISOGNO, SIAMO LIBERE DI ESPRIMERCI E USARE COME VOGLIAMO IL CORPO»
LA LINGUISTA VERA GHENO: «LE BATTUTE SESSISTE SONO UN PRIVILEGIO MASCHILE, A NESSUNO FA PIACERE PERDERE I PROPRI PRIVILEGI»
sui social, è “solo” una battuta, «lasciateci almeno i meme», «Giulia è stata uccisa da un pazzo, cosa c’entra con tutto questo?». A quest’ultima affermazione ha risposto Maura Gancitano, scrittrice e co-autrice di Tlon, nella puntata «Il Sistema» del podcast Se domani non torno di Will: guardando velocemente all’identikit degli autori dei più di cento femminicidi di quest’anno, notiamo come provengano da luoghi, contesti sociali, situazioni economiche diversi e abbiano età molto diverse l’uno dall’altro. Eppure, il fenomeno è regolare e diffuso, «devono esserci quindi delle dinamiche che rientrano in un discorso più ampio» sottolinea Gancitano.
«Cosa c’è nei vestiti e nella posa di Elodie che vi porta a pensare che le sue parole siano vane? Dove lo leggete o vedete il consenso a mercificare il proprio corpo? Chi vi dà l’autorizzazione a farlo?» è uno dei commenti che si trovano sotto il post di cui parlavamo all’inizio di questo articolo. Un altro dice: «Quindi la soluzione per non avere una visione del corpo femminile come un oggetto sarebbe coprirsi e non mostrarsi?».
Come spiegare che questo post, questi commenti, le battute che circolano in ufficio, le allusioni a relazioni con colleghi solo perché uomini, i fischi per strada, le occhiate insistenti sono frutto della stessa cultura maschilista? «C’è un collegamento tra post di quel tipo e i dati Istat. Viene tutto dalla stessa matrice: l’oggettificazione della donna, e l’idea che, in quanto tale, esista solo in funzione del maschio. La donna è privata di una sua libertà di azione indipendente dai giudizi maschili» spiega la linguista Vera Gheno. Tra quei commenti però, si leggono anche risposte di donne che accusano la cantante: «Probabilmente è femminista solo quando non ci sono di mezzo i soldi». E questo perché «la cultura patriarcale non è appannaggio maschile» precisa Gheno «è una questione trasversale che investe in maniera molto facile anche le donne. Se per tutta la vita ti senti dire che non ti devi spogliare altrimenti vieni considerata una poco di buono, allora tenderai a dare lo stesso giudizio a quelle donne che invece lo fanno».
Subito dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, un coro di voci ha chiesto agli uomini di assumersi le proprie responsabilità. Sono stati chiamati in causa anche coloro che amiamo. Tirarli in ballo tutti però ha scatenato in alcuni una reazione contraria. Si sono sentiti accusati di qualcosa che non farebbero mai, e ne hanno preso le distanze. A volte senza capire che l’accusa non era ad personam, bensì alla categoria. «Credo che sareste molto più arrabbiati e spaventati di noi se veniste uccisi ogni tre o quattro giorni» scrive una ragazza nel corso di un dibattito social nato dopo quel 19 novembre, e un’altra: «Non sono le donne che non devono ribellarsi, ma gli uomini a dover iniziare a intervenire quando altri uomini hanno comportamenti sessisti».
«Siamo sempre molto attenti ad assolvere noi stessi» continua Gheno. «Alcuni uomini sanno che non finirebbero mai per ammazzare una donna, e non vogliono sentirsi responsabili nemmeno dei comportamenti sessisti più innocenti. Come le battute. Quello che dovremmo chiedere loro è se è ammissibile ridere di una cosa che può provocare un problema a un’altra persona. Cioè: rido con o rido di?». Il tema dell’autoassoluzione è uscito anche dall’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli del 25 novembre. Alla domanda se gli uomini devono sentirsi almeno in parte corresponsabili dei femminicidi, poiché non combattono in maniera adeguata la cultura patriarcale, il 46% risponde che si sente poco o per nulla corresponsabile. Eppure, il 43% degli intervistati, di ambo i generi, ritiene che il fenomeno della violenza di genere sia attinente al permanere di una cultura patriarcale che considera le donne subalterne.
Dato che siamo nell’era della comunicazione, «occorre stare attenti a cosa si condivide in pubblico, o in qualunque situazione ci sia il rischio di ledere gli altri» conclude Gheno. «Le battute sessiste sono un privilegio maschile, e a nessuno fa piacere perdere i propri privilegi». Quindi, per le sorelle vittime di stupri, per le amiche che non vogliono uscire da sole la sera, per le ragazze in dubbio se indossare la minigonna per i fischi e i giudizi, quelle battute non possono far più ridere.