Corriere della Sera - Sette

LA SIGNORA DELLA FRUTTA «NOI IMPRENDITR­ICI NON DOBBIAMO IMITARE GLI UOMINI»

Raffaella Orsero è a capo di un gruppo che commercial­izza ogni anno 800 mila tonnellate tra banane, ananas, mango, pere. E avocado, con 45 ettari coltivati in Sicilia. L’attività, iniziata due generazion­i fa, si è allargara con il padre che girava il mond

- DI VIRGINIA NESI

Raffaella Orsero è nell’ufficio della sua holding a Milano. Ma con la mente unisce gli oceani in decimi di secondo. Ragiona in modo quasi aritmetico sulle rotte transatlan­tiche. Dice subito: «Storicamen­te eravamo ad Albenga ma a me piace pensare che non abbiamo una base fissa, mi fa sentire cittadina del mondo». Con un righello immaginari­o traccia gli itinerari dei viaggi, i suoi, alla ricerca delle radici dei frutti esotici e contro stagione. Dopo rimarca: «Adesso, o sei inclusivo o fallisci, la nostra azienda deve avere a che fare con culture diverse».

L’intervista con la vicepresid­ente e co-amministra­trice delegata del gruppo per la distribuzi­one di prodotti ortofrutti­coli (quotato in Borsa), inizia così, al telefono, mentre noi diciamo un Paese e lei risponde per frutti.

Israele? «Lo associo al pompelmo e al mio primissimo viaggio con papà. Avevo dieci anni. Lui mi spiegava come le persone riuscivano a far crescere i frutti nel deserto».

Costa d’Avorio? «Ananas. Il gruppo Del Monte (con cui Orsero ha collaborat­o ndr) ha incrociato un ananas della Costa d’Avorio con una pianta autoctona delle Hawaii ed è nata la varietà Md2 che viene prodotta in Costa Rica».

Argentina? «Pere, pere e ancora pere. È il loro regno. Ci sono anche i limoni. Gli argentini invece sono un po’ italiani (ride ndr), si instaura un dialogo facile».

Nuova Zelanda? «Un Paese piccolo con pochissimi abitanti e tantissime pecore, mi ha sorpreso per la capacità di far sistema. Si parla con un solo interlocut­ore e questo è stato un punto di forza, l’Italia dovrebbe imparare. Noi siamo il loro secondo cliente storico nel mondo».

Portogallo? «Mango, i portoghesi hanno una cultura su questo frutto che noi ci sogniamo. Lo mangiano come se fossero mele».

E Spagna? «Lì facciamo il platano delle Canarie».

Se consideria­mo che ogni anno il gruppo Orsero commercial­izza 800 mila tonnellate di prodotti ortofrutti­coli e nel 2023 prevede di arrivare a un fatturato di un miliardo e mezzo, la lista degli Stati con cui intreccia relazioni potrebbe allungarsi ancora per molto. Solo per un frutto, Raffaella Orsero, si sposta da un lato all’altro della sua mappa mentale: parte dal Messico, scende fino al Cile e risale di nuovo negli Stati Uniti per traghettar­si infine in Italia. Racconta: «L’avocado ha avuto inspiegabi­lmente successo». Inspiegabi­lmente? «Sì, non è che sia buono come il mango, tanto gusto non ce l’ha, né colpisce per l’aspetto esteriore. Non mi spiego come sia stato possibile, sicurament­e ha avuto un ruolo la globalizza­zione, negli Usa il consumo negli ultimi dieci anni è quintuplic­ato grazie ai latini. Non pensavo però che l’Europa si sarebbe fatta conquistar­e così perché l’avocado è entrato in modo prepotente nel nostro continente, il consumo continua a crescere». Eppure, ci tiene a puntualizz­are lei, la quantità di frutta mangiata in Italia non è in aumento: «Il consumo pro capite non si muove da decenni, cambiano i prodotti consumati: meno pere e più avocado appunto».

Da lì la decisione del colosso di Albenga di avviare una produzione in Sicilia insieme a Faro, azienda che produce piante mediterran­ee e subtropica­li. Spiega: «A Catania ci sono delle piante che hanno 50-60 anni, vuol dire che l’avocado in qualche modo è arrivato, ma non veniva coltivato per essere venduto, nonostante le condizioni climatiche adatte». Mentre i piccoli agricoltor­i locali tentano la strada della vendita online, Orsero cerca un’intesa con una realtà del posto, visita terreni e agricoltor­i: «Ora abbiamo l’estensione di avocado più grande della Sicilia: 45 ettari. Produciamo fino ai primi di febbraio, per questo bisogna andare in giro a cercare le origini per garantire la fornitura».

Cercare le origini come faceva suo papà Raffaello, il fondatore del gruppo: «Era un ligure di poche parole, ho iniziato a conoscerlo davvero quando ho cominciato a lavorare con lui». Siamo nel 1992, allora Raffaella ha 26 anni, suo padre 56. Ma l’azienda nasce già negli anni Quaranta. Nonno Antonio commercia prodotti ortofrutti­coli ed espande l’attività. Raffaello cresce e ha un’intuizione: le persone vogliono mangiare di più ma anche in modo

«L’AZIENDA È NATA NEGLI ANNI 40 CON NONNO ANTONIO. PAPÀ RAFFAELLO ERA UN LIGURE DI POCHE PAROLE, HO INIZIATO A CONOSCERLO LAVORANDO INSIEME»

diverso. E lui vuole scovare i prodotti migliori. In Italia compra vari posteggi sul mercato ortofrutti­colo all’ingrosso: va a Milano, Bologna, Roma. L’impresa diventa una delle prime a fornire frutta alla grande distribuzi­one. Raffaello non si accontenta, si chiede: «Perché solo in Italia?». Inizia a girare il mondo per cercare prodotti esotici e contro stagione. Negli anni Ottanta compra piantagion­i di banane in Costa Rica e società specializz­ate nella maturazion­e e distribuzi­one del frutto in

Francia. Prima noleggia le navi, poi le fa costruire per avere una sua flotta. La rete di collaboraz­ioni si infittisce, le aziende con cui lavora si moltiplica­no, i dipendenti si allargano fino a superare il migliaio (oggi sono 1.700, precisa Orsero).

Continua la vicepresid­ente: «Quando è morto mio papà mi sono trovata da sola con l’attività, forse se lui ci fosse ancora, sarebbe stata diversa la mia carriera profession­ale». Lei occupa una posizione di potere, ma dice Orsero: «Sono una privilegia­ta, l’azienda appartiene alla famiglia, la mia situazione è diversa rispetto a chi arriva in cima in altre imprese, però credo di essermela cavata». Fa una breve pausa. Riprende: «Essere una donna al vertice non mi ha tolto autorevole­zza, anzi, noi donne dobbiamo capire che quando siamo al potere non dobbiamo imitare gli uomini. Io all’inizio andavo agli appuntamen­ti di lavoro pensando: “Adesso vi faccio vedere io”, cercavo una modalità un po’ maschile e me la imponevo, poi ho capito che dovevo solo essere me stessa. È chiaro che il nostro sia un mondo prevalente­mente maschile, ma io in realtà ho quasi un vantaggio». Un vantaggio? «Le persone mi ascoltano, l’interlocut­ore uomo non è abituato a vedere una donna al comando e si trova in difficoltà, in una situazione nuova rispetto alla modalità uomo-uomo».

Oltre all’Italia, il gruppo Orsero distribuis­ce in Portogallo, Spagna, Grecia e Francia. «In Francia abbiamo acquisito recentemen­te due società », precisa. Ma il volume d’affari maggiore arriva dal Centro America: «Costa Rica e Colombia sono i due Paesi da cui provengono banane e ananas. Ogni settimana c’è una nave che le carica al porto, 15 giorni di navigazion­e e arrivano in Europa. Fanno il giro: Spagna, Portogallo, Italia. Vanno nei vari magazzini e parte la distribuzi­one. La nave si svuota e riparte. Funziona così, sicurament­e da almeno 30 anni».

«A CATANIA CI SONO PIANTE DI AVOCADO CHE HANNO 50-60 ANNI, SIGNIFICA CHE IN QUALCHE MODO È ARRIVATO IN SICILIA... NON ERA COLTIVATO PER ESSERE VENDUTO»

 ?? ?? Raffaella Orsero, 57 anni, nata a Savona, dal 2017 è vicepresid­ente e co-amministra­trice delegata del Gruppo Orsero
Raffaella Orsero, 57 anni, nata a Savona, dal 2017 è vicepresid­ente e co-amministra­trice delegata del Gruppo Orsero
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