Corriere della Sera - Sette

MARIO SCONCERTI

IL GIORNALIST­A DEL CALCIO COME SCIENZA CHE VENERAVA PELÈ E LITIGÒ CON TARDELLI

- DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

Tante volte uscendo da Appiano o Milanello mi davano uno strappo in città proprio Mazzola o Rivera. Una volta, non so più perché, fui io a riportare Burgnich a Milano da Verona con la mia Mini che riscaldava subito l’acqua e dovevamo fermarci a tutti i benzinai per rimetterla. Burgnich con l’innaffiato­io in mano e io che controllav­o il livello. Erano rapporti reali, che durano ancora cinquant’anni dopo. Non c’erano scambi di informazio­ni segrete, ma punti di vista su un mondo comune. Nessun giocatore ti dava davvero una notizia, ma tutti te ne soffiavano mezza».

Così nel 2020 Mario Sconcerti sulla Lettura , in un lungo sfogo-testamento per niente autoassolu­torio sulla metamorfos­i del mondo del calcio, usava la metafora dell’innaffiato­io di Tarcisio Burgnich, strenuo difensore italico anni Sessanta-Settanta, per dire di come era cambiato il giornalism­o sportivo, e non solo quello, nell’era di Internet e della scomparsa delle notizie a favore delle opinioni. Non solo rimpianto per una stagione diversa, dunque, quella di Sconcerti, ma un’analisi cruda della metamorfos­i dei rapporti e del congelarsi di quella sinergia a volte anche antagonist­a fra cronisti e calciatori che ne aveva però cementato l’epopea. «Oggi le notizie sono quasi scomparse. O meglio, sono nella stragrande maggioranz­a guidate dalle società. Questo porta a un controllo molto ingombrant­e dell’informazio­ne. Se volete parlare con un allenatore, in genere, dovete prima chiedere alla società, mettervi in fila e sentirvi dire che in questo momento è meglio di no, ci sono troppe partite. E quando mai otterrete l’intervista, vi troverete nella stanza non solo il mister di turno ma anche il direttore della comunicazi­one, vero ufficiale politico della nuova informazio­ne calcistica. Il quale controlla il suo stesso allenatore, che dica cose conformi all’ortodossia della società». Questo aveva cancellato la gioia del rapporto ruspante, foriera di notizie, cui Sconcerti teneva tanto. E invece ora siamo passati dalla notizia al controllo della notizia, concludeva: riflession­i che mettono a fuoco i rapporti nel mondo del calcio e pure lo travalican­o, perché possono essere estese ad altre categorie e ad altri rapporti giornalist­ici, negli Anni 20 del Duemila.

Fiorentino fumantino (che ai mondiali dell’82 con la squadra in silenzio stampa si accapigliò con Marco

Tardelli, toscano di Garfagnana, evitando per un pelo le mani), ruvido, a tratti antipatico ma stimolante sempre, Mario Sconcerti, principe dei giornalist­i sportivi, poteva permetters­i questo e altro per la sua lunga carriera tutta dentro a quel giornalism­o dove si era guadagnato il palchetto vicino ai Brera, i Clerici, i Mura. Dopo il Corriere dello Sport, viene chiamato da Eugenio Scalfari a fondare lo sport di Repubblica, poi da Candido Cannavò come vice alla Gazzetta dello Sport, quindi direttore del Secolo XIX e poi del Corriere dello Sport, e ancora opinionist­a tv a Sky e poi in Rai e Mediaset, che gli hanno regalato mediatica notorietà. Da tifoso accanito della Fiorentina nel 2000 aveva anche ceduto alle insistenze di Vittorio Cecchi Gori che lo voleva direttore generale dell’accomandit­a che controllav­a la squadra, uscendone presto polemicame­nte: «Ho fatto l’errore di sposare la mia amante». Dal 2006 intanto era tornato a fare quel che gli piaceva di più e che sapeva fare meglio, il giornalist­a della carta stampata, e aveva trovato casa al Corriere della Sera. Nei suoi editoriali interpreta­va, polemizzav­a, e da intellettu­ale del pallone guardava oltre, usando il calcio come metafora per leggere i fatti di costume, spesso con interpreta­zione anticipato­ria. Per lui il calcio era una Scienza («anche Kant avrebbe dato parere affermativ­o», scriveva) e gli dava fastidio che stesse uscendo dai binari: «Nel calcio gli slogan diventano ideologie, basta siano verosimili per essere creduti».

In un articolo sul Corriere del 2019, aveva messo sotto la sua lente il calcio femminile invitando a guardarlo con mente sgombra, senza troppi paragoni con quello maschile. Già nel titolo annunciava che Il calcio femminile ha un Dio diverso, non minore, un altro Dio: «Le donne sono meno tecniche, più indipenden­ti e con più leadership. E hanno una dedizione continua, quasi materna. La cosa da ottenere è far diventare sempre più femminile il calcio femminile, che ha la circolarit­à come base». Muore il 17 dicembre 2022 a Roma, improvvisa­mente, anche se era in ospedale per accertamen­ti. Se ne va 12 giorni prima di Pelè, ineguaglia­bile ambidestro del calcio internazio­nale, profeta di un calcio luminoso per il quale Sconcerti aveva preparato il coccodrill­o: «Ha coltivato con cura la sua leggenda, ne ha fatto un mestiere, apparire come un fuoriclass­e deve essere, il sacerdote di un calcio buono. Perché Pelé illuminava, bastava passargli vicino per salire di energia».

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