CONTRO IL PATRIARCATO SERVE L’IMPEGNO UNITO DI DESTRA E SINISTRA
Cara Lilli, ho grande stima e ammirazione per Gino Cecchettin, per il suo voler intensamente trasformare il dolore immenso in qualcosa di utile per la comunità, ma temo la sovraesposizione mediatica possa stritolarlo. Cosa ne pensa?
Tiziana Montrasio tittimontrasio@yahoo.it
Cara Tiziana, Gino Cecchettin è finito nel tritacarne mediatico fin dal giorno della scomparsa di sua figlia Giulia. Le sue parole, il suo viso, la sua casa, i suoi figli sono rimbalzati sulle nostre televisioni e sui nostri telefoni mentre ancora erano in corso le ricerche di Giulia. In molti si sono chiesti perché proprio questo femminicidio – in un Paese come il nostro che soltanto quest’anno ne conta 109 – abbia risvegliato tanta partecipazione: credo questo sia dipeso anche, se non soprattutto, da come Gino Cecchettin e sua figlia Elena hanno scelto di affrontare questa tragedia. Hanno usato parole chiare, lucide, nette. Hanno saputo toccare le coscienze più anestetizzate, hanno contrastato il cinismo e la rassegnazione di molti, inchiodando ognuno di noi alle sue responsabilità, costringendo tutti a osservare una realtà su cui in troppi chiudono gli occhi. Hanno scelto di «fare rumore». Come ha detto lo stesso Gino Cecchettin da Fabio Fazio: «Non voglio odiare, ho voluto essere e reagire come avrebbe voluto mia figlia». Facendo rumore. Il compito non sarà facile, la nostra cultura è incistata da secoli di maschilismo, patriarcato e stereotipi che sono difficili da abbattere. A questo si aggiungono le resistenze di certa politica, che fatica moltissimo a mettere in discussione slogan tradizionalisti su cui ha costruito parte del suo consenso. Ecco quindi che mentre all’unanimità si approva una meritoria legge che rafforza le tutele per le donne in pericolo, quando si va a parlare di educazione sessuale nelle scuole le cose cambiano. Il governo Meloni si è limitato a proporre l’istituzione di un’ora di «educazione alle relazioni» in via sperimentale solo per le scuole superiori, per 30 ore all’anno. Troppo poco. Senza contare il caos politico sulla nomina dei garanti della commissione che avrebbe dovuto guidare il progetto, che non fa onore né al governo né alla serietà del tema in esame.
Per porre fine alla mattanza delle donne bisogna smantellare il patriarcato, portare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, insegnare ai giovani il rispetto, la parità e il superamento degli stereotipi di genere. Serve l’impegno di donne e di uomini, della destra e della sinistra. Dividersi su questo vuol dire semplicemente non avere la volontà politica di affrontare il problema. Non sarà un percorso breve, ma è solo da questi interventi che può iniziare un cambiamento vero. «Quando ho sentito mia figlia Elena parlare di patriarcato all’inizio sono rimasto interdetto. Ma ha ragione, la supporterò in tutte le sue battaglie». Sono ancora parole di Gino Cecchettin: quando ognuno di noi farà suo il senso politico più profondo di queste parole, allora avremo cominciato sul serio a combattere questa barbarie.
GINO E ELENA CECCHETTIN HANNO USATO PAROLE NETTE CHE TOCCANO ANCHE LE COSCIENZE PIÙ ANESTETIZZATE