LA STUDENTESSA COLPITA AL PUBE E IL CODICE IDENTIFICATIVO SULLE DIVISE: ORA VA FATTO
La fotografia che ho scelto questa settimana immagino vi sia già capitata sotto gli occhi: scattata dal fotografo freelance Michele Lapini è la prova di una violenza intollerabile da parte di un poliziotto su una ragazza che manifestava pacificamente a Bo
Mercoledì 6 dicembre, a Bologna, la Polizia – in tenuta antisommossa – ha provveduto allo sgombero di due occupazioni abitative. Sono così rimasti senza casa donne, bambini, studentesse e studenti. Al contrario, vale sempre la pena ricordarlo, i neofascisti di Casapound, che una sentenza ci consente ormai di definire, senza più temere di essere portati in tribunale, «contigui alle organizzazioni criminali», per nulla indigenti ma gestori di attività commerciali, occupano da 20 anni, illegalmente e senza diritto, un immobile prestigioso nel centro di Roma.
Credo sia lecito domandarsi come mai a essere presi di mira dai provvedimenti di sgombero sono sempre gli immobili occupati da indigenti, immigrati e studenti. Come mai i neofascisti di CasaPound, «contigui alle organizzazioni criminali», non si toccano? E come se gli sgomberi non fossero già un dramma, il 6 dicembre a Bologna è accaduto qualcosa che ha gettato discredito sulle forze dell’ordine per responsabilità di chi, ancora oggi, nel 2023, protetto dall’anonimato della divisa e del casco, si permette di usare violenza sui manifestanti, credendo di poter restare impunito.
La fotografia che vedete immagino vi sia già capitata sotto gli occhi, l’ha scattata Michele Lapini, fotografo freelance. È la prova di una violenza intollerabile che nessuno deve osare minimizzare. Ritrae una studentessa dell’Università di Bologna che stava manifestando pacificamente contro gli sgomberi. Pacificamente vuol dire tante cose. Non aveva il viso coperto, come chi l’ha colpita. Non aveva nulla in mano che potesse far pensare a una volontà di aggressione. Anzi, assume proprio una posizione di difesa, come a chiudersi su sé stessa per attutire il colpo. Un poliziotto tende la gamba e le dà un calcio sul pube, umiliandola e usando su di lei una violenza intollerabile. La studentessa ha sporto denuncia contro il poliziotto, il suo caposquadra, il questore ed il ministro, tutti responsabili delle procedure di ordine pubblico che immagino non contemplino come regola quella di prendere a calci le e i manifestanti. L’avvocata della ragazza ha parlato di «una aggressione sessuale a danno di una studentessa, con un calcio
È UNA MISURA DI CIVILTÀ, SMONTA LA LOGICA DI IMPUNITÀ DEL BRANCO. MA L’ITALIA È IN GRAVE E COLPEVOLE RITARDO
tirato violentemente sul pube con gli anfibi dalle punte rinforzate». Un atto violento contro qualsiasi altra parte del corpo sarebbe stato altrettanto intollerabile, ma perché quel calcio? Perché proprio sul pube?
Diciamolo senza giri di parole: per le forze dell’ordine l’anonimato non è sicurezza, ma impunità. Un agente, sapendo di poter essere identificato, risponde della sua responsabilità anche quando opera correttamente e riceve encomi. Il numero identificativo smonta la logica del branco in cui ci si copre a vicenda e introduce un elemento fondamentale: la responsabilità individuale. Si diventa persone riconoscibili, non più anonimi che possono restare impuniti.
È imperativo che si introduca immediatamente il codice identificativo per le forze dell’ordine. È una misura di civiltà su cui l’Italia è in grave e colpevole ritardo; è una misura a tutela del cittadino e delle stesse forze dell’ordine la cui reputazione è continuamente sporcata da violenti sicuri di farla franca.
Le forze dell’ordine sono al servizio dei cittadini, non possono e non devono essere temute. Questi episodi isolati creano un clima di sospetto, favoriscono quella orrenda sensazione che ci sia chi può compiere atti di violenza sapendo che nessuno gli chiederà conto di nulla. Troppi i casi in cui azioni violente delle forze dell’ordine hanno trovato una resistenza odiosa nell’essere sanzionate: un arbitrio che in uno Stato democratico non dovrebbe esistere. Si lavori perché la fiducia tra i cittadini e chi è deputato a sicurezza e ordine pubblico sia il punto di partenza. Che sia stata una donna la destinataria di quel gesto violento è tanto più significativo ora che ci stiamo tutti interrogando su come – senza politiche adeguate nè un percorso di educazione sessuale e alle relazioni nelle scuole – far passare il concetto basilare che usare violenza sulle donne è inaccettabile, sempre.
La speranza è che almeno su questo non ci si divida, che si sia compatti nel chiedere e pretendere dalle forze dell’ordine rigore. Spero che al più presto si lavori per introdurre il codice identificativo sulle divise, utile per rinsaldare quel patto di fiducia tra chi è armato e chi non lo è.
CHE SIA STATA UNA DONNA LA DESTINATARIA DEL GESTO VIOLENTO È TANTO PIÙ SIGNIFICATIVO IN GIORNI COME QUESTI