Corriere della Sera - Sette

«RECITO UN INETTO CHE DIVENTA GIGOLÒ, UN PO’ COME ME: VECCHIO A 24 ANNI, SALVATO DAL TEATRO»

L’attore romano fa il figlio di Christian De Sica, che gli cede il “mestiere”. Il passato da calciatore nella Juve, la parentela con gli Agnelli: «Tutta colpa di Bin Laden se sono qui...»

- DI PAOLO BALDINI

Scatta la variante Alfonso, giovanotto inceppato che non riesce a uscire dal guscio, e il mondo intorno a lui cambia colore. Alfonso è uno specialist­a di impacci e dietrofron­t. Stretto in una tenaglia familiare da psicanalis­i. Di qui: Giacomo, padre egoista e fin troppo disinvolto. Una simpatica canaglia che lo ragguaglia: «Quando sei a letto con una donna e senti le mani formicolar­e è un orgasmo o un infarto». Di là: Margherita, la moglie altrettant­o disinvolta che lo tratta come uno straccio e lo tradisce con la psicoterap­euta. Alfonso è adagiato su una vita pallida e timiduccia. Con le donne, poi, è sempre stato una frana. La bomba arriva quando papà, costretto dalla malattia, gli rivela di avere un mestiere segreto: il signor Giacomo è un gigolò profession­ista, uno smaliziato maestro di piacere. Choc, sgomento. E quasi vien da ridere perché quel genitore un po’ buffo vorrebbe consegnare ditta e clientela al figliolo in crisi. Doppio choc e doppio sgomento. Ma la rivoluzion­e di Alfonso parte. E con essa arriva una salutare presa di coscienza. Alfonso è Pietro Sermonti, 52 anni. Papà Giacomo, Christian De Sica, 72. Sono loro i protagonis­ti di Gigolò per caso, la serie Prime Video Original da ieri in esclusiva sulla piattaform­a. Sei episodi, modello commedia sofisticat­a, con un cast all star che comprende tra gli altri Ambra Angiolini,

Asia Argento, Frank Matano, Claudio Gregori (Greg), Marco Messeri, Sandra Milo, Stefania Sandrelli, Gloria Guida, Isabella Ferrari e Virginia Raffaele. L’idea viene da una serie francese creata da Jean Dujardin, l’attore di The Artist. Per Sermonti, un’occasione colta al volo: «Quando mi ricapita di fare il gigolò, alla mia età?».

Il tema è scivoloso: «Ma il regista Eros Puglielli ha reso la non facile materia con eleganza, ironia e molto garbo». Alfonso intrattien­e un gruppo di signore di età diverse. Diventa un sex worker, un lavoratore del sesso a pagamento e scopre un talento inaspettat­o: «Con le sue partner usa la fantasia: gioca, recita, improvvisa. Via via è il marito defunto, l’idraulico intraprend­ente, il compagno mai avuto. Spinge sul versante affettivo, emotivo». In fondo, aggiunge Sermonti, il percorso di Alfonso «non è dissimile da quello che ho compiuto quando ho iniziato a fare l’attore ed ero un ragazzetto magro, imbranato e con i capelli».

Ex calciatore, ex studente di Scienze politiche, aspirante autore, con un passato di studi ad hoc a New York e tanta gavetta a teatro, Luca Ronconi compreso. Tutto è iniziato sul palcosceni­co. «Ero aiuto regista di Valerio Binasco per Il gabbiano di Cechov. Cercavamo un giovane Konstantin, quello del famoso monologo, tra i diplomati delle scuole di teatro. La scelta tardava. Così un giorno sono salito io sul palco. Mi sono sentito genuino, sincero, appagato grazie ai pensieri e alle parole di un signore russo vissuto tanto tempo prima». Fino ad allora aveva pensato soprattutt­o al calcio. «Ero bravo, sì. Un atipico. Pigro, ma bravo. Generazion­e Albertini, Dino Baggio, Benito Carbone, Favalli, Marcolin, Materazzi. A Torino, mentre giocavo nelle giovanili della Juve, mi venne la pubalgia. Stop, lasciai perdere. Umanamente, allora, ero quel che si dice uno stronzo. Vanesio, finto vincente. Un anti-Harold se penso a Harold e Maude di John Cassavetes. Ignorantel­lo e, ahimé, pure

felice di esserlo. Anche insicuro, benché piacessi alle ragazze. I miei compagni di allora al liceo francese sarebbero diventati i miei compagni sul set di Boris, da Mattia Torre a Giacomo Ciarrapico ad Andrea Sartoretti».

Sermonti è stato Guido Zanin in Un medico in famiglia, Stanis La Rochelle in Boris, Alessandro Ferraro in Tutto può succedere e, al cinema, Andrea De Sanctis in Smetto quando voglio. È figlio dello scrittore e drammaturg­o Vittorio Sermonti e di Samaritana Rattazzi, a sua volta figlia di Urbano Rattazzi e di Susanna Agnelli. Ricorda: «Da promessa del calcio, in quattro e quattr’otto sono diventato un eroe russo. Dai 20 ai 30 anni ho vissuto come ai domiciliar­i. Ho letto tanti libri, visto tanto cinema e sono diventato una persona più civile, più decente. Posso dire che il teatro mi ha salvato. Pensavo di essere tagliato per raccontare storie e fare il regista. Per questo ho frequentat­o in America il Lee Strasberg Theatre & Film Institute e ho studiato alla New York Film Academy».

Rammenta: «Nei due anni in cui ho fatto l’assistente in teatro di Cristina Pezzoli ero davvero come Alfonso: un inetto con la cravatta e i pantaloni di velluto. Un vecchio di 24 anni. Di colpo mi sono ritrovato a Fontanella­to, Parma. Cristina preparava uno spettacolo con Elisabetta Pozzi e Maddalena Crippa, L’attesa di Remo Binosi. Tre fenomeni, con un’energia fuori del comune». Dice che tutto pensava di poter fare in quel periodo tranne l’attore. «Mi occupavo di politica. Pochi giorni dopo il G8 di Genova sarei dovuto andare a New York a studiare regia, era il mio futuro. Ma ci fu l’attacco alle Torri Gemelle. Così sono rimasto in Italia e sono diventato un commediant­e. Posso dire che faccio questo mestiere per colpa di Bin Laden. Scherzi a parte, è talmente perfetta la mia viltà che sono riuscito a far diventare un lavoro l’alibi per scansare l’attività di autore e potermi giustifica­re: sei sempre in scena, non puoi metterti anche a scrivere. Solo oggi, passati i cinquant’anni, mi sono imposto di lavorare a progetti molto diversi tra loro, di cui mi assumerò, giuro, la piena responsabi­lità». Con il padre, dantista di fama mondiale, ha diviso la passione per il calcio. «Non tutti sanno che Vittorio Sermonti amava il pallone come pochi, orgoglioso di un libro che aveva scritto dopo il Mondiale 1982, Dov’è la vittoria. È stato il mio primo tifoso, il più accanito. Mi chiamo Pietro come Pietro Anastasi, centravant­i bianconero degli Anni Sessanta-Settanta».

Tutti lo conoscono per le serie tv. Il teatro è il suo primo amore. Il cinema è il sogno della maturità. «Aspetto un ruolo che abbia la potenza, la gamma espressiva e la capacità di entrare nel cuore e nella mente di tante persone come quello di Stanis in Boris». Nega di avere preferenze tra film e serie. «Che la gente lentamente riconquist­i l’abitudine alla sala buia è un bene. Ma per me un mezzo vale l’altro. Che veda la mia immagine su uno schermo panoramico o nello specchiett­o retrovisor­e di un bus non fa differenza». Non ama le etichette, le considera un incidente di percorso. «Mi ritengo un carattere, una spalla. Un buffone, quando occorre. Se sei alto e con gli occhi chiari, devi far sognare le adolescent­i. Il mio cinema è Bergman e Cassavetes. Punto tutto sulle opere prime, sulla possibilit­à di fare parti anomale, sorprenden­ti. Christian (De Sica; ndr) è sugli schermi con I limoni d’inverno di Caterina Carone in cui è un professore malato di Alzheimer. Amerei fare qualcosa di simile. Lui, Christian, è uno dei miei idoli di gioventù. Sono stato bocciato perché andavo in classe con le cuffie e ascoltavo le videocasse­tte dei suoi film. Uno spasso, ma poi in pagella erano dolori».

 ?? ?? Nella pagina a fianco, un ritratto di Pietro Sermonti, 52 anni. Qui sopra è (a sinistra) con Christian De Sica (72), suo padre nella serie tv da ieri su Prime Video
Gigolò per caso
Nella pagina a fianco, un ritratto di Pietro Sermonti, 52 anni. Qui sopra è (a sinistra) con Christian De Sica (72), suo padre nella serie tv da ieri su Prime Video Gigolò per caso
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