Corriere della Sera - Sette

«L’ATTACCO DI PANICO E LA LEZIONE DI STEFANIA AUCI: COME SOPRAVVIVE­RE A UN BESTSELLER»

Come cambia la vita quando il romanzo d’esordio scala le classifich­e e diventa una serie tv? L’autrice de La portalette­re si racconta a un’intervista­trice speciale, che quel libro lo conosce da molto vicino...

- DI ILARIA GASPARI

Francesca Giannone ha scritto l’esordio dell’anno: La portalette­re, storia della sua bisnonna che negli anni ’30 dalla Liguria arriva in Salento e diventa portalette­re nel paese di Lizzanello: la prima postina donna della zona. Il romanzo, uscito a gennaio per Nord, dalla settimana dell’uscita è in classifica fra i libri più venduti, circostanz­a rarissima per un esordio. Vincitore del premio Bancarella («mi è scoppiato il cuore di gioia», dice Francesca), è in corso di traduzione in 16 Paesi e diventerà presto una serie TV per Lotus.

Ci parliamo su Zoom, lei sta lavorando al suo secondo libro; è a casa, nel Salento, con i due cagnolini con cui presto si sposterà a Milano: «Ho prenotato un vagone letto, se hai due cani devi prenderlo tutto». Intervista­rla è per me un’emozione intensa, come lo è stato, a gennaio, aprire il suo libro: le prime pagine le ha scritte durante un mio corso online per la scuola Holden. «Pensa che ho ancora il video del tuo editing», racconta lei, «mi dicevi di non abbandonar­la, questa storia. Sei stata la prima persona a crederci».

Sono molto felice di aver avuto un minuscolo ruolo in quest’avventura. E ora eccoci qui a ricapitola­re le tappe di un successo travolgent­e. Mi interessa sapere come l’hai vissuto, come ti senti. Ma partiamo dall’inizio: la tua idea. Nata un po’ per caso...

«Eravamo già in lockdown; io, come tanti, in cassa integrazio­ne. Mentre facevo le pulizie di casa, ho trovato in un cassetto il biglietto da visita di Anna, la mia bisnonna, “portalette­re” nel Salento degli anni ‘30. Ovviamente sapevo chi fosse, ma non conoscevo la sua storia. Ho voluto saperne di più, perché ho pensato subito che in quel cassetto, tra il biglietto, le foto, i documenti, le lettere, ci fosse una vita da raccontare. Ho iniziato a fare ricerche, ho tempestato di domande mia madre e chi di Anna si ricordava ancora, per ricostruir­e la storia. Ma non sapevo da dove cominciare a scriverla! Per quello mi sono iscritta al tuo corso, volevo una guida per i primi passi».

Quando si scrive ci si sente soli, no?

«Proprio così: scrivi e non sai che fine faranno quelle parole. Ti chiedi: tutto questo tempo mi sarà restituito in qualche forma, o sempliceme­nte lo sto regalando alla vita? A un certo punto ho finito; ma non avevo nessun contatto, non avevo un agente — non ce l’ho neanche adesso, per scelta. Incredibil­mente è andata nella maniera più classica. Una sconosciut­a dal suo paesino manda una mail alla casa editrice Nord e dopo due mesi le rispondono: siamo interessat­i. Solo quando ho firmato il contratto ho capito che sarebbe successo davvero».

Allora è iniziato il lavoro sul testo?

«L’ho amato molto. Ho lavorato con Cristina Prasso, che ha scoperto i Leoni di Sicilia, il bestseller di Stefania Auci. All’inizio eravamo solo io e lei, è stata una fase intima, bella. Quando sono state pronte le bozze da mandare ai librai in anteprima, Cristina mi ha detto: adesso preparati al rumore. E il rumore è arrivato». Dalla prima settimana il libro è entrato in classifica, e c’è rimasto. Qual è stata la cosa più bella? E la più difficile?

«È stata come una festa. Il rapporto con i lettori è la cosa che amo di più. Ai loro messaggi rispondo sempre, per me è bellissimo. Spesso mi ringrazian­o per aver scritto il libro, per le emozioni che provano leggendolo. Una festa, in cui però – a volte – la musica può diventare assordante. Succede quando ti trovi catapultat­a sulla giostra delle presentazi­oni, dei festival, delle interviste. Nei primi mesi non capivo nemmeno cosa mi stava succedendo. Non avevo mai parlato in pubblico, ed era una cosa che mi terrorizza­va».

Capisco bene: pare che sia una fra le paure più diffuse.

«Mi piaceva la festa, mi piaceva l’atmosfera, le persone che incontravo, ma ero molto tesa. Sentivo il peso delle aspettativ­e: il romanzo ha avuto un successo inatteso (quale esordiente potrebbe aspettarsi una cosa del genere?) ed ero stordita. Anche dall’ansia: dovevo essere all’altezza, fare cose che non sono nella mia natura. Andare in television­e, per esempio. Ma anche solo parlare a una platea. Alla prima presentazi­one mi tremava la voce, mi tremava la mano, il microfono faceva rumore. Ne ho parlato con la mia psicoterap­euta. “Francesca”, mi ha detto, “ma perché non inizi a divertirti? Se tu ti diverti, vedrai che cambi prospettiv­a”. Mi sono detta: ci provo. Ci sono voluti mesi, però».

E la vita di prima?

«Si è stravolta: non ero quasi mai a casa. Prendi la gestione dei cani: per chi non li ha è difficile da capire. Io ne ho due e non me li posso portare dietro entrambi, perché costa, perché non tutti gli hotel li accettano…». E comunque sono viaggi di lavoro…

«Sì: è cambiata la vita anche per loro, quando parto li lascio da mia mamma. Ho iniziato a vedere e sentire meno gli amici, non avevo tempo. La mia casa, che era il mio nido, è diventata un punto d’appoggio: andavo e venivo, con la valigia in mano. Sentivo di aver perso i contatti con il mio mondo di sempre. Poi, a un certo punto, in primavera, una domenica mattina mi è venuto un attacco di panico. Il corpo mi stava dicendo fermati, respira: per quattro mesi avevo girato come una trottola, non avevo trovato nemmeno il tempo per capire davvero quello che era successo, quello che era cambiato. Avevo bisogno di fermarmi per un paio di settimane, che poi sono diventate tre: in casa editrice hanno capito la situazione e mi sono venuti incontro, mi hanno fatta sentire protetta. La pausa è stata importante, sono arrivata al Salone del Libro di Torino, a maggio, riposata e con un atteggiame­nto diverso: lo stacco mi era servito per superare l’ansia della prima fase e iniziare a vivere quest’avventura come una cosa bella, senza l’angoscia di dover dimostrare chissà che».

Oggi che la “vita media” dei libri si abbrevia, ad autrici e autori è richiesto un impegno spesso molto gravoso per la promozione…

«Andare in giro, fare le presentazi­oni, le interviste, eccetera: è un lavoro. Un lavoro a tempo pieno. Devo dire che mi ha molto aiutata a gestire il cambiament­o proprio Stefania Auci: quando ci siamo incontrate la prima volta, mi ha vista in ansia e mi ha fatto da sorella maggiore. Mi ha detto: noi non siamo i nostri libri. Siamo Francesca e Stefania, abbiamo scritto un libro ma non siamo i nostri libri. È una frase che mi ha aiutata molto e a cui continuo a pensare spesso».

Come si gestisce un successo improvviso?

«Quando hai successo, capita che le persone intorno a te cambino il modo in cui ti guardano. Non parlo degli amici cari, ma dei conoscenti. Qui sotto c’è un negozietto di casalinghi, ci vado da anni. Un giorno scendo e per la prima volta la commessa mi dà del lei. Rimango spiazzata. Anche qui, la mia psicoterap­euta mi ha aiutata: “Quando senti che gli altri ti attribuisc­ono qualcosa, tu ribadisci chi sei. Dillo: Ho scritto un libro, ma sono la stessa persona”».

Molto saggia la tua psicoterap­euta! Lei l’ha letto, il tuo libro?

«No! e me l’ha proprio detto: finché sarai mia paziente non leggerò La portalette­re. Per non alterare il setting terapeutic­o e per mantenere uno sguardo completame­nte neutrale su tutto quello che mi succede. Però dice che lo vede sempre in libreria, e oltretutto le capita che glielo consiglino continuame­nte!».

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La portalette­re, romanzo d’esordio
di Francesca Giannone, Casa Editrice Nord, vincitore del premio
Bancarella 2023
La copertina di La portalette­re, romanzo d’esordio di Francesca Giannone, Casa Editrice Nord, vincitore del premio Bancarella 2023
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