«PER L’EUROPEO SPOSTO LE NOZZE CON ILARIA SCOMMETTI 1 MILIONE UNA VOLTA? NON SEI LUDOPATICO»
Nel suo nuovo ruolo di capo della delegazione della Nazionale, si prepara a Germania 2024. Intanto si è iscritto alla Bocconi, studia inglese e racconta come da libero è diventato portiere
Cera una volta un bambino che… com’è iniziata la passione di Gigi Buffon per il calcio? «Il pallone è lo strumento migliore per socializzare. Sono cresciuto a Marina di Carrara e quando avevo 6 anni ci siamo trasferiti in una zona dove c’erano una decina di ragazzi con cui spesso ci ritrovavamo in strada e giocavamo a biglie o a calcio. Con i platani a fare da porte. Giocavamo e ci prendevamo in giro a seconda dei risultati delle squadre del cuore, c’erano interisti, milanisti, juventini…». E lei?
«Allora tifavo Juventus perché d’inverno i miei genitori mi mandavano dagli zii a Udine e loro erano bianconeri sfegatati. Poi, come spesso capita, quando sei un ragazzino vieni rapito dai personaggi e così fui calamitato da Trapattoni: il suo modo di proporsi, i fischi, la sua esplosività che usciva dai canoni degli allenatori dell’epoca mi portarono a seguirlo in tutte le sue avventure. Quando andò all’estero avevo 9-10 anni e iniziai a tifare per le squadre meno blasonate, seguivo Pisa,
Pescara, Como, Cesena e Avellino che erano in Serie A. Quando arrivavo a scuola e i compagni facevano l’elenco delle vittorie di Milan, Inter e Juve, io sottolineavo che il Pescara aveva vinto per la prima volta in A contro l’Inter. Poi dai 12 anni iniziai a tifare Genoa, avevo degli zii sulla cui macchina era incollato un grande adesivo con il Grifone. Una squadra magica, con una tradizione antica e una tifoseria bellissima».
La sua prima volta su un campo da calcio vero?
«Avevo 6 anni, giocavo in una società di Spezia, il Canaletto, perché mio padre allenava la prima squadra. Giocai lì per 2-3 anni, da centrocampista o libero. L’emozione di quando mi diedero il sacco con la tuta fu incredibile. Passavo giornate intere a sfogliare gli album delle figurine, studiavo la storia dei giocatori, delle squadre… l’idea di avere anche io una divisa e un borsone, di far parte di un gruppo, mi emozionava: ero orgoglioso come se la maglia che indossavo fosse stata quella del Real Madrid. Poi mio padre andò via e mi spostai alla Perticata, a Carrara, che era affiliata all’Inter. Mi divertivo tanto e avevo buoni risultati, facevo parte della rappresentativa provinciale e regionale».