Minoranza, sì, ma salari più alti e continuità La grande industria del Nord aiuta le donne
Il volume di studi dell’ufficio del lavoro ha censito nel 1903 l’operaia italiana. Da un’analisi dei dati emerge che alle fabbriche piccole corrisponde un gran numero di ragazze con paghe basse, mentre in quelle grandi corrisponde un numero di giovani inferiore ma con trattamenti economici migliori. E negli opifici maggiori e negli stabilimenti più avanzati si lavora con maggior continuità: questo è progresso sociale
LA BIOGRAFIA
ECONOMISTA, ACCADEMICO E POLITICO, LUIGI EINAUDI NACQUE A CARRÙ, IN PROVINCIA DI CUNEO, NEL 1874 E MORÌ A ROMA NEL 1961, A 87 ANNI. FU IL SECONDO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, IL PRIMO ELETTO DAL PARLAMENTO, NEL 1948. TRA IL 1945 E IL 1948 FU GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA E NEL 1947 E 1948 ANCHE VICEPREMIER E MINISTRO DEL BILANCIO NEL IV GOVERNO DE GASPERI. CON IL CORRIERE COMINCIÒ A COLLABORARE NEL 1900. L’ULTIMO ARTICOLO APPARVE NEL SETTEMBRE 1961,
UN MESE PRIMA DELLA SUA MORTE.
L’Ufficio del lavoro ha pubblicato recentemente un volume di studi di demografia e di economia industriale intorno ad un argomento interessantissimo: la donna nell’industria italiana. Fonti di questa indagine furono un censimento condotto dall’Ufficio nel 1903 per assodare alcuni dati demografici (nuzialità, fecondità, ecc.), sull’operaia italiana; e le denuncie di esercizio imposte dalla legge 19 giugno 1902 sul lavoro delle donne e dei fanciulli. Il censimento si riferisce a circa 240 mila donne ed è importante per densità e novità di esercizio; le denunzie sono piuttosto povere di contenuto, ma si estendono ad oltre 410.000 operaie di ogni età.
(...) Una delle domande alle quali sarebbe utile rispondere con qualche esattezza ci sembra questa: quale influenza ha esercitato sulla operaia italiana la mirabile trasformazione industriale che va operandosi nell’Italia, trasformazione che fa nascere industrie nuove dove prima non esistevano, che al posto delle piccole e medie fabbriche mette fabbriche sempre più perfezionate e potenti? Questa trasformazione ha operato nel senso di costringere le donne ad accorrere al lavoro in più giovane età e a durarvi fino ad un età più avanzata, le ha rese contente di salari peggiori; oppure è vero il contrario? Dare una risposta precisa è difficile. Pur tuttavia una certa orientazione è chiara. (...) Si vede adunque che all’industria piccola corrisponde gran numero di ragazze, occupate a salari bassi; ed all’industria grande un minor numero di ragazze e salari migliori. Il che è un progresso sociale evidentissimo, il quale rifulge vieppiù se si pensa che l’industria del cotone, la meglio organizzata tecnicamente, ha una frequenza di ragazze inferiore alla media ed i salari massimi, mentre l’industria della seta, più arretrata, ha la frequenza massima e i salari minimi.
Prendiamo un altro fatto: la stabilità dell’occupazione. Tanto meglio vivono le operaie quanto più continua e sicura è la loro occupazione. Orbene anche qui le cifre sono eloquenti (...). È sempre la stessa legge: si lavora con maggior continuità negli opifici maggiori e nelle industrie più perfezionate.
(...) Un’altra domanda a cui sarebbe pure interessante poter rispondere in modo esauriente sarebbe questa: come è distribuito il lavoro della donna nelle varie regioni italiane? (...) Quando possono, le donne di tutta Italia lavorano di continuo; ed è solo quando l’industria è arretrata o la domanda saltuaria che la disoccupazione cresce nel Mezzogiorno (...) Si può dire che nel nord le donne vanno prima a lavorare e cessano più presto che nel sud. Anche qui le interpretazioni possono essere due : o che nel nord si stanchino prima o che nel sud siano dai più bassi salari costrette a lavorare più a lungo. È certo che in media i salari sono più elevati nel settentrione che nel mezzogiorno (...).