SIAMO TUTTI TERAPISTI DELL’ANIMA SUGGERIAMO RIMEDI SENZA INDAGARE SULLE CAUSE
È pericoloso rispondere elusivamente ad amici, parenti e affini che ti chiedono «come stai?», soprattutto in periodo di feste. Se poi per caso si prolunga troppo l’attimo di incertezza che ti impedisce di adottare la formula di rito, per la quale la domanda non è una vera domanda e non richiede dunque una vera risposta, allora la rivelazione che in fondo non stai poi così bene apre la porta a sgradevoli conseguenze.
Se il male imprudentemente confessato è fisico, ancora ancora te la cavi con poco. Qualche rassicurazione su una pronta guarigione, un parallelo con un lontano cugino che ha avuto la stessa cosa e si è completamente ristabilito, la segnalazione di un medico o di un fisioterapista che «fa miracoli».
Ma se per caso non c’è niente che non vada nella tua salute, e quell’esitazione che hai avuto è piuttosto dovuta a una mestizia, a un dilemma morale, a un turbamento psicologico, al male di vivere insomma, allora l’interlocutore si sente in obbligo di trasformarsi seduta stante in un terapista. E comincia a snocciolare le molte e a suo dire fondate ragioni per cui «devi tirarti su».
Un mito del nostro tempo è infatti la perfezione psichica. E sì che intorno a noi ce ne sono di cose che giustificano ampiamente uno stato d’animo un po’ abbattuto, un momento di dispiacere, o una forte preoccupazione. Niente da fare: quella ruga che si forma tra le nostre sopracciglia quando non siamo sereni va appianata al più presto, riempita con qualche Botox dell’anima, sempre disponibile in farmacia, o presso lo studio di uno junghiano, o regalandosi un passatempo, chessò, una macchina nuova o un nuovo amante.
A seconda della sua cultura o della formazione e personale esperienza, ogni interlocutore ha la sua ricetta. Ma tutte prescindono accuratamente dall’indagare le ragioni del tuo malessere, e si concentrano sui rimedi. Con qualche rara eccezione, quelli che frequento io sono interessati solo a ciò che funziona, non a ciò che è giusto o ciò che è buono. Siamo una società orientata al risultato, sempre meno disposta alla speculazione filosofica o morale.
Sei obbligato a star bene, insomma. E gli altri non capiscono quasi mai che proprio per stare davvero bene devi anche essere libero di provare il dolore, di spiegarlo a te stesso, e magari di parlarne con gli altri senza che ti zittiscano subito con una soluzione empirica che tanto non funzionerà mai, comunque non con te.
Amici, parenti e affini si comportano sempre più – o forse è il contrario – come quelle aziende e società che un attimo dopo averti fornito un servizio ti bombardano di mail e messaggi per sapere se sei soddisfatto, o se puoi aiutarli a migliorarlo compilando un questionario di infinita lunghezza che verifica la “customer satisfaction”.
Vita e mercato si confondono. Perché questo in definitiva siamo diventati, anche riguardo al nostro benessere psichico: dei “customer”, consumatori di felicità percepita, che se per caso stanno giù per una settimana o due hanno diritto al rimborso.
LA RUGA CHE SI FORMA TRA LE NOSTRE SOPRACCIGLIA VA APPIATTITA AL PIÙ PRESTO: STARE BENE È UN OBBLIGO