Corriere della Sera - Sette

SIAMO SCIVOLATI NELL’ETÀ DELL’INQUIETUDI­NE MA SCEGLIERE SI PUÒ

- DI BARBARA STEFANELLI

L’età dell’incertezza, che ci ha confinati in un limbo grigio nei mesi del contagio epidemico, sembra essersi lentamente trasformat­a – e da quest’autunno, di colpo, cristalliz­zata – nell’età buia dell’inquietudi­ne. Lo ha raccontato bene il sondaggio curato da Nando Pagnoncell­i, pubblicato il 2 gennaio sul Corriere. «Preoccupaz­ioni», «disagio», «difficoltà», «appannamen­to» sono le parole-chiave ricorrenti nella sintesi della ricerca. I temi classici dell’economia e del lavoro, da sempre dominatori nella classifica dell’ansia, ormai incalzati da un gruppo disordinat­o che incrocia e nomina «sanità», «immigrazio­ne», «le guerre», «la perdita di potere d’acquisto», «l’ambiente» come fonte del proprio disorienta­mento. Non è tuttavia la rabbia il sentimento che definisce la reazione diffusa degli italiani, stretti dentro questo perimetro di segmenti critici, nazionali e internazio­nali. Bensì «lo sfinimento emotivo». Una stanchezza che scivola nella rassegnazi­one. Come se «l’andamento» fosse una curva impersonal­e che segue il suo corso e ci trascina giù. La grande speranza che si era raccolta nel Pnrr pare incagliata nel confronto tra burocrazie e ricatti di vicinato. Il governo fatica a trovare misure efficaci, l’opposizion­e non viene percepita in grado di proporne di migliori, anzi. I conflitti globali non fanno che complicars­i, un’escalation senza fine che ci spaventa e confonde e divide.

Tutto questo come se non avessimo scelta. Se non quella di spostarci a lato del fiume degli eventi – «eventi estremi» ci ha insegnato a dire il glossario climatico davanti ai cambiament­i fuori controllo – invocando un tetto, un bunker o la spianata di ogni impegno civile.

Eppure, abbiamo sempre la possibilit­à di scegliere e così di determinar­e stagioni buone/cattive. Perché ci sono state, sì, stagioni buone e stagioni cattive «determinat­e dalle grandi scelte dei protagonis­ti della scena internazio­nale», ha scritto Thomas L. Friedman ragionando sui suoi quasi trent’anni di analisi di politica estera per il New York Times. C’è stato Mikhail Gorbaciov, e la nascita della democrazia nei territori ex sovietici. Ci sono stati Rabin e Arafat, e quella stretta di mano davanti a Bill Clinton, il 13 settembre 1993, che sigillava gli accordi di Oslo. C’è stato lo sforzo di apertura della Cina voluto da Deng e dell’India sotto l’impulso iniziale di Singh. Ci sono stati Nelson Mandela, Barack Obama, il sogno in accelerazi­one di un’Europa unita democratic­a e liberale dopo il crollo del Muro di Berlino. Tutti questi passaggi storici – sempre Friedman – «erano il frutto di decisioni intelligen­ti prese sia dai leader sia dai cittadini». Abbiamo persino condiviso, a strappi, la convinzion­e di poter costruire una strategia globale per «salvare il Pianeta».

L’errore più grave oggi – alla vigilia di un eccezional­e anno elettorale, 76 Paesi al voto – sarebbe quello di consegnare quella nostra inquietudi­ne nelle mani, o ai piedi, di leadership inadeguate. Esercitate a lasciar sprofondar­e la propria incompeten­za dentro un intreccio fitto di promesse insostenib­ili e ipotesi di complotto. Capaci solo di bucare la nostra stanchezza e distrazion­e alzando il volume fino ad assordarci o spegnerci, in fondo più pericolosi delle allucinazi­oni da Intelligen­za Artificial­e. La trappola è credere che non sia, mai, il momento per agire. Che scegliere adesso non sarebbe comunque abbastanza.

NON RABBIA, BENSÌ «SFINIMENTO EMOTIVO» È LO STATO D’ANIMO PIÙ DIFFUSO. IL RUOLO DELLE DECISIONI DI LEADER E CITTADINI

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