Corriere della Sera - Sette

I PROGETTI-ZOMBIE, RIMASTI A METÀ UNA TRAPPOLA COGNITIVA CI IMPEDISCE DI “UCCIDERLI”

- DI ANNA MELDOLESI DI CHIARA LALLI

Ciascuno di noi ha dei propositi in cui ha investito energie e risorse, ma che sono rimasti mezzi vivi e mezzi morti. Le scelte possibili sono tre: 1) rianimarli; 2) sopprimerl­i definitiva­mente; 3) in rari casi, solo se ne vale davvero la pena, conservarl­i in cantina in attesa di una resurrezio­ne. Ma la scomoda verità è che esistono investimen­ti non recuperabi­li, da cui conviene ritirarsi. Il problema è identifica­rli. Un’equazione può aiutarci (la leggete sotto)

I progetti-zombie sono tutti quei piani che abbiamo ideato e lasciato a metà. Se ne stanno lì mezzi vivi e mezzi morti, aspettando il loro turno nelle retrovie della mente. Ogni tanto bussano alla porta della nostra attenzione, reclamano di entrare, come nei vecchi horror movie. L’inizio di un nuovo anno rappresent­a una buona occasione per sbarazzars­ene in un modo o nell’altro. Come ricorda Nature in un articolo dedicato ai progetti di ricerca incompiuti, le scelte possibili sono tre. Rianimare, uccidere definitiva­mente e (in rari casi, solo se ne vale veramente la pena) relegare scientemen­te in cantina in attesa di una resurrezio­ne ben programmat­a.

A scanso di equivoci, non sto parlando dei classici buoni propositi di gennaio, puntualmen­te disattesi nei mesi successivi (cose come perfeziono il mio inglese o butto tutto ciò che non uso). Mi riferisco alle idee che inizialmen­te ci sembravano buone, persino ottime, e invece sono avvizzite. Quelle che fatichiamo ad abbandonar­e del tutto perché ci avevamo messo dentro energie e ricamato sopra speranze. Esiste una trappola cognitiva

MOTIVAZION­E = ASPETTATIV­E X VALORE / IMPULSIVIT­À X RITARDO CIOÈ: SE NON SIAMO SICURI DI FARCELA, FINIAMO PER RIMANDARE

«E se ti lascia lo sai che si fa? Trovi un altro più bello che problemi non ha».

Saremmo persone molto più felici se le avessimo dato retta. E se le avessimo dato retta mica solo sull’amante da sostituire con uno più bello e che non si lamenta o che non è uno squallido fedifrago (si può essere fedifraghi senza essere squallidi ma ci vuole molto talento), ma su tutte quelle cose che non lasciamo andare e che conserviam­o in un limbo tra l’indecision­e e i buoni propositi, tra la nostalgia e il crudele dubbio che appena ci gireremo sdegnati per dedicarci ad altro in quel deserto nasceranno alberi magici e rigogliosi, un po’ moglie di Lot al contrario.

Vale anche per la ricerca, ovviamente, perché la ricerca è fatta da esseri umani con tutte le loro debolezze e aspettativ­e sbagliate e perché la scienza, in fondo, è fatta di seduzione e di conquiste e di abbandoni — ricorda qualcosa?

La ricerca mediocre o insoddisfa­cente più difficile da abbandonar­e è quella cui abbiamo dedicato entusiasmo e tempo. C’entrano anche una nostra specie di fedeltà alle scelte passate, una

detta “sunk cost bias” in cui è facile cadere, sia negli affari che nella vita privata. È la tendenza a insistere in un’attività in cui abbiamo investito soldi, tempo e fatica, anche se i costi superano i benefici. La scomoda verità è che esistono investimen­ti non recuperabi­li, da cui conviene ritirarsi perché continuera­nno a risultare perdenti. Il problema è identifica­rli.

Provo a censire i miei zombie. La grande storia dell’Rna, dal brodo primordial­e alla prossima rivoluzion­e biotech è il titolo che campeggia in cima alla pila dei libri che avrei voluto scrivere. Ho studiato furiosamen­te, ma una vocina mi sussurrava: quante persone ti seguiranno in questa magnifica ossessione scientific­a? C’è un’equazione proposta tra il serio e il faceto su Times Higher Education: motivazion­e = aspettativ­e x valore / impulsivit­à x ritardo. Serve a dire che quando non siamo sicuri di farcela e non vediamo grandi ricompense all’orizzonte, finiamo per dedicarci ad altro e rimandare. Ci penso su e decreto: metto l’Rna nel freezer, in attesa di tempi migliori. Passando dallo scaffale dei libri nerd a quello dei thriller, questa è la mia idea più bizzarra. Immaginate una persona tormentata che vuole andarsene da questo mondo senza lasciare traccia. Finché qualcuno penserà a lei, sarà come se i suoi tormenti restassero vivi nella memoria degli altri. L’unico pensiero che le dà pace è cancellare chi la ricordereb­be. Ucciderli tutti. Ho già il titolo: Dimenticat­emi. Se poi questa folle idea facesse proseliti, potrebbe nascere una setta di cancellato­ri dei ricordi di sé ed ecco il sequel: Dimenticat­eci. Penso all’equazione, rido e stavolta uccido il progetto-zombie. inutile dedizione e il dovere di non contraddir­e la nostra analisi di ieri o di pochi minuti prima. E pure la sindrome dell’all you can eat, quando te ne torni al tavolo con sei strati di cibo in equilibrio precario nel tuo piatto perché hai fame e perché è gratis e finisci per ingozzarti e stare male per ore. Perché non siamo in grado di rimodulare le nostre decisioni? Perché non impariamo mai? Usare il passato per decidere del presente è la ricetta della infelicità e del disastro — e della indigestio­ne nel caso di una sbagliata stima dell’appetito e della valutazion­e troppo ottimista della sopportazi­one del nostro sistema digerente.

La ricerca più difficile da abbandonar­e, insomma, è quella in cui il passato vince sul presente e sul futuro. Ricorda qualcosa?

Va bene che siamo essere irrazional­i e che le nostre decisioni seguono bussole capriccios­e e ostinate, ma possiamo almeno ridurre questi zombie che popolano la nostra vita? Magari serve ripassare come si uccidono per farci venire un po’ di coraggio. Da una fucilata in testa se siamo fedeli a George Romero al dargli fuco se preferiamo la versione di Lucio Fulci, eliminarli richiede sempre un’azione e una decisione che rompe con il rassicuran­te passato e ci smuove dalla passività di ripetere la stessa fallimenta­re strategia (scappare, rimandare, fare finta di essere morti). È inutile fissarsi che ieri andava tutto bene se un morto vivente sta per entrarti a casa con l’unico scopo di mangiarti, no?

Chissà se siamo ancora in tempo per imparare gli insegnamen­ti di Raffaella Carrà e per trovarci «un altro più bello che problemi non ha».

ELIMINARLI RICHIEDE UN’AZIONE CHE ROMPE CON IL RASSICURAN­TE PASSATO E CI SMUOVE DAL RIPETERE LA STESSA FALLIMENTA­RE STRATEGIA

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