IRMA TESTA
«HO COMINCIATO CON LA BOXE PER CAPIRE MIA SORELLA: SUL RING LA MASSACRAVANO, MA LEI SORRIDEVA»
Gli uomini non hanno la determinazione, l’aggressività, la capacità di sopportare il dolore e la fatica che abbiamo noi donne. Anche nella boxe, il futuro è nostro. Quando ci mettiamo in testa una cosa la portiamo a termine. Le donne della mia famiglia sono così: mia nonna è cieca da 30 anni, ma ha sempre cucinato e fatto la lavatrice da sola. Mamma in casa è il centro di tutto, mio padre non è mai stato molto presente: era lei che usciva presto e tornava la notte dopo ore di lavoro, senza lamentarsi. Poi c’è mia sorella che a 15 anni ha lasciato il pugilato per portare a casa uno stipendio, rinunciando alla sua passione. Sono cresciuta con questi esempi». Ha le idee chiare Irma Testa, 26 anni compiuti lo scorso 28 dicembre, nata a Torre Annunziata, pugile dalla voce dolce, medaglia d’oro nella categoria pesi leggeri al Mondiale di Nuova Delhi 2023 e bronzo all’Olimpiade di Tokyo 2020. La passione per la boxe è nata grazie a sua sorella Lucia?
«L’ho sempre seguita in qualsiasi cosa. Tornava a casa piena di lividi, stanca, distrutta ma felice. Le chiedevo: “Ti ammazzano di botte, ti massacrano con l’allenamento e tu torni col sorriso?”. Mi rispondeva: “Non puoi capire”. Così ho provato a capire». La prima volta sul ring?
«All’inizio il maestro mi disse di mettermi in un angolo e guardare. Stavo ore a osservare gli altri. Andavo a casa e il pomeriggio seguente ero ancora lì. Solo dopo qualche mese ho incrociato i guantoni proprio contro mia sorella. È stato bellissimo».
Chi era più brava?
«Lucia, senza dubbio. Era il gioiellino della palestra». A casa come l’hanno presa?
«Avevo provato quasi tutti gli sport, mia madre era convinta che mi sarei stancata dopo un paio di settimane, che non sarei arrivata a combattere. Era comunque felice di sapermi lì e non in strada».
Cosa significa fare sport in un paese di provincia?
«Vuol dire sapere che i tuoi figli sono al sicuro. Anche da bambini c’è il rischio di essere coinvolti in qualcosa di pericoloso. È facile provare stima nei confronti di chi si veste bene, ha belle macchine o moto senza però capire da dove arrivano quei soldi facili. Sei giovane, non vedi un’alternativa nello studio o nel lavoro e rischi di farti coinvolgere. Le madri queste cose le sanno».
Che studentessa è stata?
«Andavo a scuola perché costretta. A 15 anni mi sono trasferita ad Assisi per allenarmi, in quel momento smettere è stato un sollievo. Poi ho visto come funziona fuori da Torre Annunziata e ho capito che costruirsi una cultura è importante così mi sono data da fare, ho ripreso a studiare da sola, ho fatto gli esami. E ancora oggi continuo».
Ha iniziato giovanissima il percorso da
atleta professionista: si è persa qualcosa?
«Non ho vissuto alcune delle cose tipiche dell’adolescenza, ma ho avuto la possibilità di girare il mondo, a 16 anni ero sulla Muraglia cinese. È stato un do ut des. Non rimpiango nulla. Mi sento molto fortunata». Quando sfila i guantoni, le unghie sono smaltate. «Curarmi mi fa sentire bene. Il pugilato non è uno sport solo per uomini, non siamo dei maschiacci. Mi piace la faccia stupita dell’arbitro quando guarda le mie mani». È stata la prima pugile donna italiana a partecipare all’Olimpiade: ricordi di Rio?
«La delusione per la sconfitta dopo i quarti di finale. Ma anche la magia del villaggio olimpico: andavo alla ricerca dei campioni, li avvicinavo, scambiavo con loro una spilletta, facevo una foto, due chiacchiere. In mensa mangiavo con Serena Williams o
Michael Phelps, era eccezionale. I Giochi sono fatti di competizione ma sono anche un’esperienza di condivisione con atleti che arrivano da tutto il mondo, ci sono storie che si intrecciano, gare di altre discipline da vedere… È il premio che viene dato agli atleti bravi. La competizione invece è una gara come un’altra, cambia solo la risonanza che avrà il tuo successo o il tuo insuccesso».
Dopo il Brasile si è rialzata e, a Tokyo, ha vinto il bronzo: dove si trova la forza di ricominciare?
«Bisogna chiedere aiuto, forse una delle cose più difficili. Ho esposto i miei problemi, le mie fragilità». La medaglia a cui è più legata?
«La prima in assoluto, un bronzo agli Europei. Avevo iniziato a combattere da pochi mesi. Poi l’oro al Mondiale dello scorso marzo, era il mio sogno».
Il sogno per Parigi 2024?
«Ne avrei uno e anche bello grande, speriamo». Come controlla il peso?
«Limitando le visite in famiglia. Mia madre fa la cuoca, è difficilissimo mantenere il peso a casa: se scendo a Napoli è perché posso mangiare. Quando torno ad Assisi lei mi dà casatielli e dolci. Il maestro le ha chiesto di non mandare niente, così ingrassiamo tutte». Com’è nato il soprannome “Butterfly”?
«Le prime volte sul ring pensavo solo a evitare i colpi, il mastro mi disse: così sembri una farfalla».
Nel 2021 ha fatto coming out: nel mondo dello sport è difficile?
«C’è la tendenza a nascondere. Io per anni l’ho fatto perché temevo che tante persone potessero parlare male del pugilato, banalizzare: ecco, è uno sport maschile e sono tutte lesbiche. Avevo paura che fossero colpite le mie colleghe. C’è il rischio che le persone prendano di mira anche i tuoi successi, l’atleta che sei. Non mi è mai importato quando offendono la Irma persona. Però non ero pronta alle offese verso la Irma atleta perché i miei risultati sono frutto di duro lavoro, di sacrifici. Ma dopo la medaglia olimpica me ne sono fregata, quella era la certificazione che ero forte e nessuno poteva dire il contrario».
Ha una compagna?
«Sì, si chiama Alessandra». Cosa farà quando smetterà di boxare da atleta?
«Ho tante idee: l’allenatrice della nazionale femminile di pugilato, una carriera in Polizia o in politica. Non penso mai che qualcosa non si possa fare, credo che tutto sia possibile».
«HO IMPIEGATO ANNI A FARE COMING OUT, TEMEVO IL GIUDIZIO SULLA IRMA ATLETA. LA MEDAGLIA A TOKYO MI HA RESA PIÙ FORTE E LIBERA»