Corriere della Sera - Sette

«Mi chiedo: davvero hai vinto piccola Valla? Sì, il sogno, arduo e magnifico, è raggiunto»

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Ondina, la ventenne bolognese che conquistò nel 1936 la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Berlino, così descrisse la gioia del trionfo in un articolo di suo pugno sul Corriere della Sera. «Anche io ho donato alla mia terra qualche cosa! Ora torno ansiosa alla mia casa, ove la mia famiglia attende trepidante. La mamma mi nasconderà nelle sue braccia e sarò ancora e sempre la ragazza che si suole sgidare e mettere sull’attenti»

Il sogno, il magnifico, fantasioso, arduo sogno, è raggiunto; è realta viva e palpitante. In questo clamore di folla, in questo turbinio di pensieri, di gare, di risultati, di gente di tutte le razze, di trionfi e di delusioni, talvolta il mio cuore sembra arrestarsi incredulo, impaurito, e mi chiedo: «Davvero hai vinto, piccola Valla?». Davvero ho vinto, con ardore, con accaniment­o, con rabbia.

E ho sentito una moltitudin­e in piedi, il fragore e gli acuti del coro plaudente e gli urli generosi dei miei compagni; una girandola di colori, di volti, di fogge intorno a me, come in un mondo irreale. Poi, improvviso, possente, il pensiero di mia madre, dei miei cari, e i miei occhi, come soverchiat­i dal celere battito del cuore che martella, si sono riempiti di lacrime, di tenerezza, di amore e di baci.

Più tardi, sul palco d’onore, la corona di alloro ha cinto la mia fronte, e la mia bandiera ha sventolato al sole, e gli inni della Patria hanno inondato lo stadio. Ed e stato il momento della più intensa passione.

Un grano di orgoglio mi ha fatto levare lo sguardo più in alto. Anche io ho donato alla mia terra qualche cosa! Di bello e di buono. Una vittoria di tenacia, una vittoria fatta di lavoro, di costanza, di tempo e di emulazione. Ora torno ansiosa alla mia casa, ove la mia famiglia attende trepidante. La mamma mi nasconderà nelle sue braccia e sarò ancora e sempre la ragazza che si suole sgridare e mettere sull’attenti. Dopo un necessario periodo di calma spirituale, ritornerò al leggero allenament­o per mantenermi in forma per le nuove gare che mi attendono, poiché non voglio riposare sugli allori.

Domani sera partiremo per l’Italia: alla fantasmago­rica Berlino, al monumento dei Caduti dove la fiaccola olimpica ha sostato giungendo dalla Grecia lontana agli altari del piazzale del museo antico, alla via trionfale, allo stadio nazionale, alla torre di Maratona, al Campo dì maggio, alla città olimpionic­a alternata dì cemento e di verde, a Kiel, a Grünau, ai vasti campi delle grandi gare, alle fantasie di Unter den Linden, alla grande porta di Brandeburg­o, addio.

Ma agli atleti, ma ai camerati, alla folla, non addio: arrivederc­i. L’Olimpiade sta per finire: viva l’Olimpiade. Arrivederc­i a Tokio.

«HO SENTITO UNA MOLTITUDIN­E IN PIEDI, IL FRAGORE E GLI ACUTI DEL CORO PLAUDENTE E GLI URLI GENEROSI DEI MIEI COMPAGNI, COME IN UN MONDO IRREALE»

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