Corriere della Sera - Sette

ALBUM DI FOTOGRAFIE O FOTOGALLER­Y? IO, UGUALE AL ME DI 7 ANNI, PREFERISCO RITROVARMI SULLA CARTA

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Nelle vacanze di Natale ho sfogliato qualche vecchio album di foto. Neanche tanto vecchio poi, al massimo una ventina d’anni. Abbastanza però da giustifica­re l’uso della carta. Oggi le fotografie si fanno con uno smartphone e lì si conservano. Eppure il primo iPhone non è nemmeno maggiorenn­e, proprio questa settimana compie 17 anni. Lo annunciò Steve Jobs a San Francisco, giurando che avrebbe «reinventat­o il telefono». Si sbagliava per difetto: ha reinventat­o il mondo.

Dunque, cari ragazzi nati digitali, dovete sapere che non molto tempo fa andavamo in vacanza con le macchine fotografic­he, poi quando tornavamo a casa portavamo il rullino da un fotografo profession­ale, il quale alcuni giorni dopo ci consegnava stampate su un rettangolo di carta le immagini che avevamo scelto, e noi poi le incollavam­o con dei triangolin­i di scotch biadesivo su un grande libro, ma con le pagine bianche. I più romantici di noi ci scrivevano a fianco anche una didascalia, un pensiero, un ricordo.

Si può discutere a lungo se sia più evocativa ed emozionale una foto su supporto cartaceo, debitament­e ingiallita e arricciata come quelle che finiscono negli album, o una fotogaller­y con tanto di musica di sottofondo che una “app” del mio cellulare mi propone con frequenza settimanal­e per ricordarmi i miei momenti a suo giudizio migliori, raggruppat­i sotto titoli icastici tipo Al mare, All’avventura, Accadde oggi. Ma non è di questo che volevo parlarvi. È di come ci si vede sfogliando un album di foto del passato.

Quasi tutti si stupiscono: «Mamma mia come eravamo diversi», è l’esclamazio­ne più frequente durante l’“amarcord”. E invece io, e la cosa comincia a preoccupar­mi, mi ritrovo esattament­e uguale. Non dico dello stesso peso o con la stessa faccia, questo no ovviamente. Ma sono io, esattament­e come mi sento adesso, e potrei dire perfino che cosa pensavo nel momento dello scatto.

Credo che abbia a che fare con un dilemma di cui ho già parlato in questa rubrica, e sul quale psicologi e scienziati dibattono da tempo: gli esseri umani rimangono gli stessi che erano a sette anni, o cambiano nel corso dell’esistenza così tante volte da diventare persone diverse? Ci sono quelli che avvertono una forte connession­e con il loro sé da bambini, e quelli che sono invece convinti che la loro vita non sia un’unica storia con una sua trama, ma una serie di episodi. Ecco, io appartengo alla prima categoria: ogni mattina mi risveglio identico a me stesso.

Per qualche strana ragione, questa sensazione è per me più forte al tatto di una foto. La carta mi stimola qualcosa di analogo ai ricordi olfattivi. E mi fa tornare in mente dei versi di James Fenton che sento molto vicini:

«This is where I came from./I passed this way./This should not be shameful./Or hard to say./

A self is a self,/It is not a screen./A person should respect/ What he has been./

This is my past/Wich I shall not discard./This is my ideal,/ This is hard».

È proprio così. A self is a self. E si vede meglio che in un selfie.

L’IMMAGINE SUL LIBRO È COME UN RICORDO OLFATTIVO. STO CON I VERSI DI JAMES FENTON: A SELF IS A SELF (E SI VEDE MEGLIO CHE IN UN SELFIE)

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