«AL BARLUME PER RIVALUTARE NOI TOSCANI»
L’interprete di Marchino, creato da Malvaldi: «Sarcastici e cattivi ma non banale come ci fa Pieraccioni»
Minuto due, secondo 40. A casa di Massimo, Beppe e Tizi, qualcuno bussa alla porta. È la figlia del proprietario: «Mio padre è morto, io voglio vendere casa». Al bar della città (immaginaria) di Pineta, i vecchini ricostruiscono la vicenda: «Pare sia cascato nel pozzo che c’è in giardino». «Si vede che era andato ad annaffià i fiori e fiuuu...». Nelle nuove puntate de I delitti del BarLume, la serie ispirata ai gialli di Marco Malvaldi – che torna con tre storie su Sky Cinema e in streaming su Now da oggi per tre venerdì – la suspense si alleggerisce con l’umorismo. Dice Paolo Cioni, che interpreta Marchino: «Il punto forte è la comicità toscana di situazione, non quella becera. La cosa bella che ha fatto Roan (Roan Johnson, regista e produttore creativo; ndr) è trovare sempre più situazioni paradossali che si sviluppano davvero nei bar toscani. Ci sono sarcasmo e cattiveria che fanno sorridere, anche se a volte risultano scomodi».
Scomodi?
«A volte in altre regioni vengo inteso come provocatorio, in realtà in Toscana è tutto una presa in giro e questo aspetto alleggerisce anche i gialli».
Cosa intende?
«Non siamo preoccupati se qualcuno muore. C’è una sorta di leggerezza nell’affrontare la morte che rincuora a casa chi ha subito da poco una mancanza. In Toscana e nella serie il cadavere diventa quasi una scusa per parlottare, uno stimolo di vita per certi personaggi del BarLume. Ci divertiamo alle spalle del morto».
Non mancano nemmeno gli stereotipi...
«Il povero Gino (Marcello Marziali; ndr) rappresentava il tirchio: tra Livorno, Pisa e Lucca sono tutti con le braccine corte, non si vuol dar quattrini a nessuno. Aldo Griffa, quindi Paganelli, è l’uomo a caccia di donne. Marchino, il nerd fissato sulle cose. La serie mostra una Toscana diversa da quella che spesso si vede nei film».
Diversa come?
«A volte nei film c’è lo stereotipo del toscano che viene banalizzato: quello scemo, tonto, volgare. Ma non siamo tutti “culo” e “merda”. Ne I delitti del BarLume si confrontano varie tipologie di personaggi e a mio avviso questo eleva un po’ il toscano – è rimasto solo Pieraccioni adesso – e riesce a farlo uscire da quella retorica che gli viene spesso associata».
Lei si sente simile al suo Marchino?
«Sono molto tranquillo. La gente mi vede e mi dice: “Ah ma non sei incazzato come nella serie!”. In realtà l’incazzatura che io tiro fuori è quella che tengo sopita. Fare il personaggio è un grosso momento di terapia».