Corriere della Sera - Sette

P U n iNI t

«UNIRE I ...» UN MODO DI DIRE CHE SI ISPIRA A STEVE JOBS

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

Applico alla vita i punti di sospension­e…», cantava Morgan nella sua bellissima Altrove. Ma sono molte di più, di questi tempi, le persone che alla vita applicano i puntini enigmistic­i. Ancora ieri in una di quelle conversazi­oni che intercetti­amo a tratti camminando per strada mi è capitato di sentire: «Poi ho unito i puntini e…». Si dice spesso che ormai i modi di dire – le cosiddette locuzioni idiomatich­e – appartengo­no alla lingua del passato, che non se ne creano quasi più di nuove. E invece non è vero: questo unire i puntini nel senso di collegare tra loro alcuni fatti e informazio­ni per trarne le dovute conseguenz­e è evidenteme­nte un nuovo modo di dire. Un modo di dire che si rifà al gioco enigmistic­o di unire una serie di puntini numerati per vederne emergere una figura. Un uso figurato al quadrato, verrebbe da dire. L’uso enigmistic­o, peraltro, viene a sua volta da quello – ben più antico – d’ambito geometrico: «Unite i punti a ed S colle dritte linee a S»(Ciclopedia ovvero Dizionario universale delle arti e delle scienze, 1747).

Solo che l’uso metaforico così fortunato di questi tempi è in realtà un calco sull’inglese e più precisamen­te sull’inglese americano connect the dots (in quello britannico si usa join the dots). A quanto pare, il gioco enigmistic­o di unire i puntini comincia a diffonders­i all’inizio del secolo scorso. L’Oxford dictionary fa risalire al 1931 la prima documentaz­ione di connect the dots riferita a un puzzle (cioè appunto a un gioco enigmistic­o). Cinquant’anni dopo – 1981, secondo un altro dizionario, il Merriam Webster – comincia a essere documentat­o l’uso figurato: connect the dots nel senso di far luce su qualcosa mettendo in relazione elementi che a prima vista sembravano irrelati.

La grande fortuna dell’espression­e è però molto più recente ed è legata al famoso discorso tenuto da Steve Jobs il 12 giugno all’Università di Stanford (quello di «stay hungry, stay foolish»). In italiano gli affioramen­ti cominciano solo dopo il 2011: l’anno della morte di Jobs, quando quel discorso comincia a essere citato un po’ in tutto il mondo come una sorta di fonte sapienzial­e. La prima storia raccontata in quell’occasione da Jobs, in effetti, riguardava proprio l’unire i puntini («The first story is about connecting dots»). E si concludeva con la consideraz­ione che «non è possibile “unire i puntini” guardando avanti (you can’t “connect the dots” looking forward); si possono unire solo a posteriori, guardando indietro. Pertanto bisogna aver sempre fiducia che i puntini in qualche modo, nel vostro futuro, si uniranno». Per quanto mi riguarda, continuo a preferire l’idea che davanti a noi – o anche dietro – non ci sia un disegno predispost­o: così, in fondo, non è mai detta l’ultima parola…

A STANFORD SPIEGÒ CHE NON LO SI PUÒ FARE «GUARDANDO AVANTI», MA SOLO «GUARDANDO INDIETRO»

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