P U n iNI t
«UNIRE I ...» UN MODO DI DIRE CHE SI ISPIRA A STEVE JOBS
Applico alla vita i punti di sospensione…», cantava Morgan nella sua bellissima Altrove. Ma sono molte di più, di questi tempi, le persone che alla vita applicano i puntini enigmistici. Ancora ieri in una di quelle conversazioni che intercettiamo a tratti camminando per strada mi è capitato di sentire: «Poi ho unito i puntini e…». Si dice spesso che ormai i modi di dire – le cosiddette locuzioni idiomatiche – appartengono alla lingua del passato, che non se ne creano quasi più di nuove. E invece non è vero: questo unire i puntini nel senso di collegare tra loro alcuni fatti e informazioni per trarne le dovute conseguenze è evidentemente un nuovo modo di dire. Un modo di dire che si rifà al gioco enigmistico di unire una serie di puntini numerati per vederne emergere una figura. Un uso figurato al quadrato, verrebbe da dire. L’uso enigmistico, peraltro, viene a sua volta da quello – ben più antico – d’ambito geometrico: «Unite i punti a ed S colle dritte linee a S»(Ciclopedia ovvero Dizionario universale delle arti e delle scienze, 1747).
Solo che l’uso metaforico così fortunato di questi tempi è in realtà un calco sull’inglese e più precisamente sull’inglese americano connect the dots (in quello britannico si usa join the dots). A quanto pare, il gioco enigmistico di unire i puntini comincia a diffondersi all’inizio del secolo scorso. L’Oxford dictionary fa risalire al 1931 la prima documentazione di connect the dots riferita a un puzzle (cioè appunto a un gioco enigmistico). Cinquant’anni dopo – 1981, secondo un altro dizionario, il Merriam Webster – comincia a essere documentato l’uso figurato: connect the dots nel senso di far luce su qualcosa mettendo in relazione elementi che a prima vista sembravano irrelati.
La grande fortuna dell’espressione è però molto più recente ed è legata al famoso discorso tenuto da Steve Jobs il 12 giugno all’Università di Stanford (quello di «stay hungry, stay foolish»). In italiano gli affioramenti cominciano solo dopo il 2011: l’anno della morte di Jobs, quando quel discorso comincia a essere citato un po’ in tutto il mondo come una sorta di fonte sapienziale. La prima storia raccontata in quell’occasione da Jobs, in effetti, riguardava proprio l’unire i puntini («The first story is about connecting dots»). E si concludeva con la considerazione che «non è possibile “unire i puntini” guardando avanti (you can’t “connect the dots” looking forward); si possono unire solo a posteriori, guardando indietro. Pertanto bisogna aver sempre fiducia che i puntini in qualche modo, nel vostro futuro, si uniranno». Per quanto mi riguarda, continuo a preferire l’idea che davanti a noi – o anche dietro – non ci sia un disegno predisposto: così, in fondo, non è mai detta l’ultima parola…
A STANFORD SPIEGÒ CHE NON LO SI PUÒ FARE «GUARDANDO AVANTI», MA SOLO «GUARDANDO INDIETRO»