Corriere della Sera - Sette

IL DESTINO DELL’EX ILVA O IL CASO DEL PANDORO CHE COSA CI RIGUARDA DI PIÙ?

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Raccontare sui giornali di Chiara Ferragni è facile. Si va sul sicuro. Più o meno tutti gli italiani la conoscono. E, se non conoscono lei, hanno imparato a conoscerla attraverso suo marito, Fedez. Capace di orientare gli italiani al punto di essere chiamata dal direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, per far ripartire le visite ai musei post Covid, Ferragni è inciampata in uno scandalo, quello del pandoro venduto per beneficien­za che non era proprio beneficien­za. Non come veniva descritta. La vicenda ha appassiona­to l’Italia, per settimane.

Ora provate a parlare di Ilva. O meglio di ex-Ilva. Si deve rovistare nella memoria per capire bene di che cosa si sta parlando. Siamo nel mondo dell’ex. Perché l’Ilva è la ex Italsider, quella società che fabbricava l’acciaio di Stato e che al momento di essere privatizza­ta è stata divisa in due. Da una parte gli acciai speciali di Terni, dall’altra l’Ilva laminati piani. Non solo. La politica, che quando si tratta di inventare partiti nuovi e nomi nuovi non è seconda a nessuno, ha deciso che adesso l’azienda si dovesse chiamare Acciaierie d’Italia.

Direte voi: ma la battaglia è impari. Da una parte c’è una Ferragni che si occupa di cose estremamen­te vicine a noi, che ci racconta della sua casa vecchia (in affitto e bellissima) a Citylife e della sua casa nuova (e ancor più bella, di proprietà) sempre a Citylife. Adesso, poi, si è aggiunto un colpo di scena: la possibile caduta dall’Olimpo dove la regina dei social regnava quasi indiscussa. Perché mai dovremmo, invece, mostrarci interessat­i a una vicenda che dura dal 1995, quando lo Stato decise di vendere ai privati la società dell’acciaio nazionale?

Ecco appunto. Intanto si tratta di soldi nostri. Molti di più di quanto potremmo aver speso per tutti i pandori e i panettoni della nostra vita. Il Sole24ore ha calcolato che fino al 1995 l’ex Ilva ci era costata 8 miliardi. Tanto per avere un termine di paragone, il taglio fiscale sulle aliquote Irpef (valido solo per quest’anno e quindi da rifinanzia­re se vogliamo averlo anche nel 2025) vale 4 miliardi.

Dalle Acciaierie d’Italia (naturalmen­te stiamo parlando sempre dell’ex Ilva), intanto, esce qualche tonnellata di acciaio. Ancora oggi. E questo nonostante lavori a ritmo ridotto, con i soci (lo Stato e Mittal) che probabilme­nte continuera­nno a litigare. Quell’acciaio è molto più presente nella nostra vita di quanto pensiamo. Ci si fanno lavatrici & frigorifer­i. Ogni volta che passate vicino a un palazzo circondato da un’impalcatur­a, e in tempi di SuperBonus ne abbiamo visti tanti soprattutt­o in condomini di lusso, ebbene quei tubi probabilme­nte sono figli dell’ex Ilva. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo.

E’ per questo che i giornali devono continuare a parlarne, e tanto. Anche se siamo alla centesima puntata. Tanta nostra vita, tante aziende, sono legate al destino di quegli impianti a Taranto. Cose reali, fisiche. Non che Ferragni non stringa una quota di realtà. Ma la verità è che il suo ”caso” ci permette di essere spettatori. Che di questi tempi, è più semplice, non ci impegna, dà e non prende. Mettere la tesa sull’ex Ilva non garantisce sollievo. Diciamocel­o. Ma da lì passa la nostra storia come comunità.

LA SFIDA SEMBRA IMPARI. MA LE ACCIAIERIE DI STATO SONO LA NOSTRA STORIA (E CI COSTANO MOLTISSIMO DA DECENNI)

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