PAESAGGIO E ACCIAIO CREANO LE SCULTURE
Nella cittadina toscana apre il museo-archivio dello scultore
Riconoscibile per almeno due motivi: la purezza delle forme (archi e triangoli rovesciati, piramidi, anelli...) e l’uso del corten, questo acciaio ossidato dal bel color ruggine, diventato sua sigla e firma a partire dagli Anni 90, in cui realizzò moltissime opere, un centinaio monumentali. Mauro Staccioli (1937/2018), noto a livello internazionale, definiva questi suoi lavori “sculture-intervento”, segno architettonico e utopico in un paesaggio o in un ambiente. Non certo con un’intenzione estetica, anche se alla fine l’effetto visivo poteva essere spettacolare, come quando incorniciò in un enorme ovale la campagna di Volterra dov’era nato, figlio di contadini. Quell’opera fu installata nel punto che lui bambino raggiungeva percorrendo la strada dalla casa dei nonni ai poggi dove i genitori dissodavano la terra. Oggi, quella scultura (Primi passi) è stata spostata non lontano, a Monterosola.
La prima materia dei suoi potenti lavori fu però il cemento; negli Anni 70/80 ci voleva una certa asprezza per veicolare un ideale socio-politico militante come il suo, così alla Biennale di Venezia del 1978 costruì un muro di 8 metri per occultare in parte il Padiglione Italia. Ora a Volterra nel suo museo – 36 metri lineari di faldoni – che s’inaugura nell’ex Oratorio del Crocefisso il 20 gennaio, sono stati raccolti oltre mille disegni progettuali (la Bibliotheca Hertziana di Roma ha digitalizzato 9mila file dei primi vent’anni della sua attività, dal ‘68 all’88), un gran numero di modellini (circa una settantina di cui 40 restaurati ed esposti). «Che rivelano anche la fantasia utopica dell’artista, opere spesso irrealizzabili essendo tecnicamente molto complesse», dice Andrea Alibrandi da trent’anni amico e gallerista di Staccioli, coinvolto nel museo-archivio. La visita però si estende da lì all’aperto, dove si vedono una decina di sue sculture in loco. Al bivio di Mazzolla le stele alte 13 metri dedicate a quel bambino che, morto sotto una grande balla di fieno, non vide crescere il bosco (anche titolo dell’installazione), la foresta di Tatti così estesa da arrivare fino a Grosseto.