LA DESTRA MARCIA DIVISA MA SA COLPIRE UNITA E SCHLEIN? REAGISCE, IN RITARDO
Cara Lilli, non ne posso più della Meloni. L’opposizione non sembra in grado di sbugiardarla in modo efficace. Il passato non ci ha insegnato niente?
Cara Loredana, Giorgia Meloni sta portando avanti egregiamente il programma che aveva annunciato. Da un lato, il suo governo sta cambiando la cosiddetta «egemonia culturale» del Paese, costruendo una società ancorata a valori tradizionali, quando non apertamente reazionari. Pensiamo al modello di donna la cui massima aspirazione dovrebbe essere diventare madre; la famiglia classica uomo-donna è l’unità di riferimento e il nazionalismo funziona da collante ideologico, contro qualsiasi realtà fattuale. Dall’altro lato, Meloni vuole cambiare profondamente l’architettura istituzionale e nell’articolazione di poteri stabilita dalla Costituzione, ovvero nelle garanzie pensate dopo il fascismo dai padri fondatori per evitare che si ripetessero squilibri e abusi degli anni del Ventennio. Sarà questo, infatti, l’effetto della riforma del premierato, con cui vengono alterati i poteri del presidente della Repubblica e trasformato il ruolo del parlamento. Tutto questo viene combinato con l’autonomia differenziata, cioè la disgregazione del concetto di universalismo di servizi, diritti e opportunità alla base dell’Italia, da nord a sud. C’è da essere preoccupati per la celerità con cui procedono le cose: l’autonomia potrebbe infatti essere legge prima delle elezioni europee di giugno e ancora non si vede un’opposizione capace di contrapporsi efficacemente o di impostare un’agenda alternativa per i tanti cittadini che chiedono una diversa opzione di governo. Pd e M5S (e anche gli schieramenti minori come Azione di Carlo Calenda) sembrano troppo assorbiti da equilibri politici, interni ed esterni, troppo impegnati a dimostrare reciprocamente il proprio valore elettorale, oppure persino troppo indaffarati a contrastarsi apertamente. Mentre la destra applica la regola del marciare divisi per colpire uniti, la sinistra fa l’esatto contrario. Prendiamo l’esempio della Sardegna, dove a febbraio ci saranno le elezioni per il nuovo presidente della regione. Nel Partito democratico sono riusciti persino a dividersi all’interno della stessa famiglia: Renato Soru – già governatore in passato – non viene candidato da Elly Schlein e lui corre da solo. Sua figlia Camilla, consigliera comunale e in corsa per quello regionale, sostiene l’alleanza PS-M5S con Alessandra Todde. «Avrei voluto che mio padre si ritirasse –ha detto– ma a questo punto non ci spero più, rischia di essere ricordato come colui che ci ha messo a rischio in queste elezioni».
Sarà impossibile per la segretaria Elly Schlein dirimere il conflitto. Eletta con un’onda eccezionale proprio per portare rinnovamento, Schlein non pare ancora in grado di tradurre quella spinta nella pratica. Sconta certamente la pena di tutti i segretari Dem, ovvero la difficoltà a tenere insieme anime diverse e in perenne battaglia tra loro. Ma fatica anche a trovare un proprio codice e una visione diversa da proporre agli elettori, limitandosi per lo più a reagire – spesso in ritardo – alle azioni di Meloni e del suo governo. difficile che gli elettori si innamorino di “reazioni”.
LA SEGRETARIA PD FATICA A TROVARE UN CODICE (PER IMPORSI ALL’INTERNO) E UNA VISIONE (PER GLI ELETTORI)