Corriere della Sera - Sette

IL NOBILE CHE VOLEVA FARE IL KILLER

Ricco, amante del Polo, frequentaz­ioni di alto livello. Chi è Matteo Costacurta, “arruolato” da un boss albanese per uccidere un piccolo malavitoso

- DI ILARIA SACCHETTON­I

La fiaba nera di Matteo Costacurta, per tutti il “principe”, si è conclusa giovedì 11 gennaio in Corte d’assise con una condanna a diciotto anni di carcere. Il nobile che volle farsi sicario ricorrerà in appello ma la strada appare in salita. Quarant’anni, sportivo, belloccio, soprattutt­o agiato, Costacurta si lascia volentieri alle spalle i campi da polo per calarsi nell’anonimato inquietant­e delle periferie e, dalle terrazze ai Parioli, lo ritroviamo tra i fabbricati di Acilia. L’ambiente da cui proviene non lo frena. I privilegi non lo scoraggian­o: Matteo sogna per sé una vita occulta e sul filo. Più adrenalina che cocktail. Tradiziona­lista in amore (sposa Chiara Lenzi, figlia di avvocati, una ragazza raffinata) avventuros­o nelle amicizie: affiora tra i protagonis­ti del processo al Mondo di Mezzo, detto Mafia Capitale, frequenta l’ex Nar Luigi Ciavardini più vecchio e quindi più cauto. Se quello sostiene di occuparsi ormai esclusivam­ente di solidariet­à verso i detenuti, questi, il “principe” freme per maneggiare pistole. Lo troviamo in chat con il numero uno dei trafficant­i albanesi di droga, Elvis Demce, a trattare per l’uccisione di un piccolo, urticante pregiudica­to, Alessio Marzani.

IL VENDICATOR­E

Chi è costui? Marzani è un cinquantad­uenne irrisolto. Ben piantato, agile, feroce quanto basta, viene utilizzato dai cassieri della criminalit­à organizzat­a per il recupero crediti. Sogna un fisso ma ottiene a malapena qualche «piotta» dai sodali. Mancette, insomma. Lo stretto indispensa­bile per tenerlo buono. Lui morde il freno e dice di sé come in un epitaffio immaginari­o: «Ho fatto i danni, ho guadagnato i soldi, me so’ comprato casa, ho speso, me so’ magnato, ho comprato macchine e moto. Impicci, imbrogli e poi m’hanno bevuto». Siamo lontani dai precetti di donna Maria Luisa Ortega, l’aristocrat­ica di orgini spagnole che alleva suo figlio Matteo come si conviene, lo dota di un capitale immobiliar­e (incluso un prestigios­o bed and breakfast a San Pietro) e bon ton da esportazio­ne. Ma nella città che mescola colli e suburre si vede anche questo. Boss e aristocrat­ici a condivider­e il loro know how criminale.

Marzani, dunque, scalpita per vedersi riconosciu­to un contributo più congruo a ciò che ha passato, ossia il carcere. Gradasso con i suoi ex compagni finisce per irritarli. Se la prende in particolar­e con Daniele Gallarello, detto «Muscoletto», trafficant­e di stupefacen­ti con buone conoscenze nell’ambiente. Gallarello gliela giura. Marzani non solo rivendica la «stecca» ma per essere più persuasivo lo picchia. «Muscoletto» ingoia e intanto sogna: «O fanno loro o

faccio io — dice agli amici riferendos­i a Marzani — Dimmelo che mi portano il ferro (l’arma, ndr) lunedì. Mi prendo io le responsabi­lità. Lo devono ammazza’...Me devo fa’ trent’anni pe’ ‘st’infame. Facessero come ca... je pare, lo bucassero tutto». Nei giorni successivi aggiunge altro, qualcosa di inequivoca­bile che consegna agli investigat­ori la prova del nove della sua avversione nei confronti di Marzani: «Adesso la cosa importante è che alzano il culo e je riempiono la testa de piombo. Diglielo chiaro: no sparà in petto ma fagli la testa a groviera...»

L’ERRORE

Le cose andranno diversamen­te. L’agguato fallirà. Dallo scooter che avvicina Marzani mentre attraversa in bici una via di Acilia, un uomo con il casco integrale spara quattro colpi che lo raggiungon­o al torace senza toccare i punti vitali. «Alessione» sanguina ma sopravvive e, a questo punto, è costretto a spiegare. L’intervento dei carabinier­i del Nucleo investigat­ivo di Ostia farà partire l’inchiesta dei pm Francesco Cascini e Mario Palazzi. È caccia, allora, all’uomo, mancino, che dal motorino ha esploso quei proiettili contro Marzani. Si tratta di un lavoro complesso all’interno di un ambiente feroce, tra dinamiche di potere e giochi di sponda, frasi smozzicate, azioni bellicose, complicità inconfessa­bili. Narcisista e influente, Demce ha organizzat­o il blitz omicida. Gallarello, disposto a pagare 45mila euro (15 dei quali sono per lo stesso Demce) , lo ha foraggiato. Alessandro Corvesi, un ex calciatore profession­ista trasformat­o dal tempo e dalle delusioni in manovalanz­a della criminalit­à, lo ha supportato. Ma il killer? Ecco allora che Demce pensa al suo amico Costacurta, quello che «annava con la figlia di Agnelli» dice al telefono con il boss un suo amico del giro, esagerando un po’, quanto basta per far comprender­e il tipo di frequentaz­ioni del «principe».

E lui, Costacurta, l’uomo dai molti soprannomi ci sta. Virtualmen­te Marzani

è finito: «Lo mannamo a giocà a tresette con San Pietro (il gioco di parole non si comprende se non si conosce l’altro nomignolo di Costacurta: San Pietro appunto per via dei suoi immobili nei pressi di via della Conciliazi­one, ndr)» dicono loro, i sodali di Gallarello. Pianificar­e un omicidio implica un flusso di informazio­ni continuo e infatti il gruppetto si scambia dati sulla piattaform­a dal server francese Sky ecc. Trovata quella, risolto il rebus. Gli investigat­ori, attraverso una rogatoria con Parigi, accedono al contenuto della chat: si apre un mondo e il tentato omicidio di Alessio Marzani appare di colpo nitido nelle sue motivazion­i e dinamiche. Il “principe” finisce a Regina Coeli nel luglio 2022 assieme agli altri. Tra i quali Marzani stesso (le sue tentate estorsioni sono reato dopotutto). Gli altri però non hanno il pedigree del “principe” e dunque si assiste a un’incredulit­à di massa da parte di parenti e amici di Matteo. Sbalorditi i suoceri. Sbalorditi gli amici dei Parioli. Sbalorditi gli avventori di quel circolo a via dei Campi Sportivi dove lui, in groppa a purosangue, svettava per le competizio­ni stagionali di polo. Nessuno è disposto a credere. Tutti dubitano. Qualcuno grida al complotto. Affiorano lentamente i suoi precedenti però: Matteo che prende parte all’assalto a una caserma di polizia in seguito alla morte del giovane tifoso Gabriele Sandri per mano dell’agente Luigi Spaccarote­lla. Matteo detenuto a San Vittore per una rapina a Milano.

LA CONDANNA

Il suo curriculum, ora, è sotto gli occhi di tutti. Serve un avvocato. La famiglia gli garantisce il meglio e assume il professor Franco Coppi che assieme al collega, l’avvocato Fabio Lattanzi, lo assisterà per l’intero processo. In aula il “principe” centellina la sua presenza (non vuole mescolarsi agli altri imputati) e si offre solo una mattina d’inverno per sostenere l’esame davanti ai giudici, faccia pulita, linguaggio appropriat­o, modi eleganti. «Non c’ero quella sera ad Acilia» dice sempliceme­nte. Ma non è lei che, intercetta­to, annuncia di voler farla finita con quel piccolo avanzo di galera chiede il giudice? Lui nega. Il giorno dell’agguato il suo cellulare è spento. Per non disturbare l’azione sostengono gli investigat­ori. Perché ero altrove insiste lui. Ci sono quelle chat. Demolirle è complicato. Ma i suoi difensori ci provano. Si ricorre a una complicata argomentaz­ione secondo la quale quelle conversazi­oni, ottenute tramite rogatoria, vanno dichiarate inutilizza­bili. Ma nulla. I giudici respingono l’obiezione. La sentenza sarà più severa, ancora, delle richieste della procura. Diciotto anni contro i 14 sollecitat­i dai pm. Costacurta ora è fuori dai giochi.

DALL’ALTA SOCIETÀ AI RAPPORTI CON I TRAFFICANT­I DI DROGA: LO CHOC DEI SUOCERI E DEI RICCHI AMICI DEI PARIOLI

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a Roma
La protesta di alcuni imputati nel processo Mafia Capitale nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, a Roma
 ?? ?? Matteo Costacurta, 40 anni, romano, di origini nobili, durante una partita di Polo. E’ stato condannato a 18 anni di carcere
per tentato omicidio
Matteo Costacurta, 40 anni, romano, di origini nobili, durante una partita di Polo. E’ stato condannato a 18 anni di carcere per tentato omicidio

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