«SARÒ CALIFANO, MA NELLA VERSIONE INTIMA SOMIGLIO A NONNO VITTORIO IL DNA HA CHIAMATO...»
Figlio di Alessandro e Sabina Knaflitz, entrambi interpreti, e nipote del grande di famiglia, affianca alla musica il debutto nella recitazione in un biopic sul cantante romano scomparso. «Mio padre? Mi ha dato del pazzo. Spero di far conoscere il Califfo
C ’è la devozione verso «il maestro», come lo chiama ripetutamente, l’affetto verso «Franco», artista che ormai sente amico pur non avendolo mai conosciuto, l’emozione per un ruolo che è un trampolino di lancio vertiginoso. Leo Gassmann parla di Franco Califano con entusiasmo irrefrenabile e si dice subito «molto agitato» per il suo debutto da attore: il 25enne cantautore è il protagonista di Califano, biopic in onda su Rai1 l’11 febbraio.
Cosa l’ha portata a cimentarsi anche come attore?
«Ho riscoperto le mie radici, che poi non ho mai accantonato. Semplicemente ho aspettato il momento giusto per poterle conoscere meglio. Ho sempre fatto musica e continuerò a farla, è la mia più grande amante, però la recitazione è arrivata in un momento in cui ne avevo veramente bisogno».
Cosa intende, cercava nuovi stimoli?
«Forse sì, cercavo uno stimolo, ma soprattutto ero curioso di scoprire l’atto della recitazione su un set. Studiavo da vari anni, questa parte non è caduta dal cielo, ma c’è stata una lunga ricerca. Poi è arrivato questo provino e ci sono state tante selezioni. Avere la mia vita musicale mi ha aiutato ad allontanare l’ansia: mi sentivo pronto, ma bisogna anche essere fortunati, rispecchiare quel che la produzione ha in mente. Quando mi hanno scelto poi ho chiesto al regista, Alessandro Angelini, perché avesse voluto me».
E lui?
«Angelini mi ha detto che stava cercando qualcuno che potesse raccontare la parte mai raccontata di Franco Califano e qui c’è il messaggio principale del film. Abbiamo messo da parte il lato oscuro del maestro, già raccontato mille volte, cercando di approfondire il motivo per cui è arrivato a quella vita, una vita straordinaria, nella quale si è dovuto ricostruire tantissime volte, ma che ha voluto fosse
tutta basata sull’amicizia e sull’amore». La sua figura è stata schiacciata troppo sugli eccessi?
«Sono convinto di sì. Lui era in dicotomia, dentro aveva un grande tumulto, e la maggior parte delle persone si ricorda solo le sue serate goliardiche. Meriterebbe un spazio più grande e spero possa ora essere conosciuto anche dalla mia generazione. Lui sperava di essere ricordato per la sua musica e non per le scelte che ha fatto. Se hanno un lettore dvd fra le nuvole mi auguro che possa vedere il film e sorridere».
Come ha lavorato sul personaggio?
«Ho potuto essere affiancato dai suoi amici, specie Antonello Mazzeo, che ci faceva la pasta a casa sua e ci raccontava di lui. Siamo stati ad Ardea, il luogo dove è sepolto e c’è la sua casa-museo: la gente ci va in pellegrinaggio e siamo stati al concerto che la sua band ogni anno tiene in suo ricordo. Il suo pubblico mi ha abbracciato come se fossero una famiglia». Fisicamente come si è preparato?
«Ho lavorato con una costumista straordinaria: Franco era alto sette centimetri più di me quindi lei voleva che il mio corpo fosse più asciutto per sembrare più slanciato. Sono stato da un dietologo, ho perso sei chili in tre settimane. Mi sono allenato sei giorni a settimana con un personal trainer: mi svegliavo alle cinque e andavo a correre, mi costruivo all’alba. Poi ho messo dei tacchi di legno di 8-9 centimetri, la notte avevo i crampi alle gambe e quella è l’unica cosa che non mi manca».
Dice di aver riscoperto le sue radici. Recitare è nel Dna di famiglia?
«Non so se ereditiamo qualcosa, ma so che se cresci in un ambiente inizi ad assomigliargli. Io sono cresciuto in mezzo ai teatri: a 4 o 5 anni, dopo la scuola, andavo dai miei genitori in tour o c’erano attori che giravano per casa. È stato come crescere in un circo: il set è casa mia, il teatro è casa mia. Spetterà al pubblico dire se lo so fare bene o male, ma è la cosa che amo fare e per la quale morirei».
A casa vostra Califano è mai passato?
«No, i miei non l’hanno mai conosciuto e mio padre (Alessandro; ndr) quando ha saputo di questo ruolo mi ha detto “tu sei un pazzo”».
Perché?
«Io ero agitato, gli ho detto “dammi dei consigli” e lui mi fa “sei un pazzo, esordire con un progetto del genere è una cosa complicatissima”. Mia madre (Sabrina Knaflitz; ndr) mi ha detto “so che sei un attore straordinario, andrai benissimo”. Papà più correttamente cercava di prepararmi alla difficoltà del ruolo».
Ma ci sarebbe mai potuto essere un debutto “facile” per un figlio e nipote d’arte?
«So solo che non ci sarebbe stato ruolo migliore di questo. Riguarda un personaggio importante per Roma, musicale come me. Credo sia il modo giusto per presentarmi».
Tra i commenti alle prime immagini dal set c’è chi le ha scritto «Sembri tanto tuo nonno»: il paragone con Vittorio Gassman la lusinga o la intimorisce?
«A me fa un immenso piacere che le persone si ricordino di lui guardando me. Sono il suo primo fan, come di papà, di mamma e di tutta la mia famiglia. Oltre a essere dei professionisti, sono persone oneste che mi hanno insegnato dei valori e dato la possibilità di essere felice. Però chi ha conosciuto nonno non me lo dice per l’aspetto fisico: mi pare di capire che fosse vicino a me anche a livello umano, quindi forse lì c’entra il Dna. Io ero piccolo quando se n’è andato, ma lo vivo attraverso i racconti delle persone e il suo grande repertorio. Questo mi dà la possibilità di ricostruirlo come un puzzle».
In cosa era simile a lei caratterialmente?
«Mi dicono avesse la capacità di aggregare le persone, di farsi notare entrando in un luogo. Certo, lui era più alto di me, con le spalle più grandi, aveva presenza scenica ed energia ed era un uomo di cultura. Però io penso di avere tanti difetti, ma anche la capacità di portare grande entusiasmo e ciò mi dà la possibilità di essere notato. Credo sia questa la mia qualità. E forse anche la generosità, come lui, che difficilmente poteva essere odiato. Spero un giorno di poter essere ricordato come mio nonno, una brava persona che ha fatto di tutto per migliorare lo spazio intorno a sé».
E i suoi tanti difetti quali sono?
«Sicuramente non mi piace perdere, sia ai giochi da tavolo che nella vita. Ho spesso momenti di grande discesa anche nelle parti più basse dell’umore, ma sono sbalzi che fortunatamente riesco a controllare. A volte sono permaloso e poi (ride)... fatico a innamorarmi».
Come mai?
«È una battuta, ma diciamo che innamorarsi oggi è difficile, il mondo va molto veloce e c’è meno poesia: esiste intorno a noi, ma va rispolverata. È un tempo molto diverso rispetto a quello di Franco, forse lui è stato l’ultimo romantico».
Lei è romantico?
«Sì, tendenzialmente lo sono. Però bisogna trovare le persone giuste e Franco mi ha passato questo senso di noia, di inadeguatezza. Sono stato condizionato da lui».
I 25enni sono ancora interessati al matrimonio?
«Non posso parlare per tutta la mia generazione, ma io no. Poi magari un giorno cambio idea, ma ora come ora non lo farei mai perché non vedo il motivo di ufficializzare il fatto di amare una persona e voler passare il resto della vita con lei. Credo sia importante amarsi e rispettarsi, qualunque sia il proprio orientamento sessuale, ma non capisco perché ufficializzare. Magari fai una festa. Poi ognuno dà il valore che vuole, ma io a 25 anni non ci penso».
E a 35-40 come si immagina?
«Spero di essere in viaggio tra Sudamerica, India, Asia: magari con l’anima gemella, magari invece con il mio cane. Spero di girare il mondo per collezionare storie e poi raccontarle».
Figli?
(Sospira) «Forse a 35 anni si potrebbe iniziare a considerarli. Le cose vanno fatte a step. Mio padre mi ha avuto a 34 anni, c’è tempo. Non voglio essere un padre troppo giovane né troppo vecchio. Cercherò di emulare i miei genitori». Intanto, oltre al debutto come attore, prosegue il suo percorso di cantautore.
«Uscirà un altro brano e sto scrivendo il nuovo disco. Il 2023 è stato un anno importante con un tour che mi ha permesso di conoscere tante persone. Si sta creando una famiglia straordinaria, c’è chi viene a tutti i miei concerti, e questo mi rende fiero e felice».
Si ripresenta la capacità di aggregazione ereditata dal nonno?
«Da tutta la vita sogno di portare il buon esempio, di contribuire a rappresentare quella fascia di persone che sono i buoni: sono la maggioranza, anche se non si vede. La musica mi dà la possibilità di farlo, di parlare con i fan che mi raccontano le loro storie: sono grandi persone e là c’è il futuro del mondo».